Quaderno 8

Nota di lettura

Il controllo umano sui processi storici

"§61 Machiavelli. La quistione: che cosa è la politica, cioè quale posto l’attività politica deve avere in una concezione del mondo sistematica (coerente e conseguente), in una filosofia della praxis, è la prima quistione da risolvere [...] perché è la quistione della filosofia come scienza."

Il marxismo nasce sulla base della scoperta della subordinazione della politica all'economia e comporta come suo fine il rovesciamento di questo rapporto in nome del primato del bene comune, del quale il partito comunista deve farsi carico, sugli interessi particolari.

Da questo punto di vista, è vero che l'attività politica è efficace solo se essa si fonda su "una concezione del mondo sistematica (coerente e conseguente)" che trova sul terreno della praxis la possibilità di realizzarsi e che tale realizzazione postula un Partito (il novello Principe) che organizza e guida una volontà collettiva.

Il problema è quanto il mondo, sia pure inteso come un prodotto storico, sia governabile e pianificabile.

Il discorso deve partire da lontano.

L'intuizione che il mondo storico è un sistema complesso è implicita in parecchi pensatori del passato.

A ben vedere, essa si ritrova anche in A. Smith e nella sua teoria della mano invisibile, secondo la quale nel sistema economico che prende l'avvio con la rivoluzione industriale, l'agire di indefiniti agenti che perseguono univocamente i propri interessi dà luogo misteriosamente ad un equilibrio sistemico. La teoria smithiana pone in luce l'emergere di un certo ordine sullo sfondo di un caos apparente.

Marx ha buon gioco nel rilevare: primo, che la mano invisibile sembra incline a favorire un certo ordine che coincide con gli interessi della classe dominante; secondo, che essa non scongiura affatto crisi ricorrenti sistemiche, che impongono una ristrutturazione del sistema stesso.

Marx, come Gramsci, non pone in dubbio il carattere complesso del sistema capitalistico: anticipando la sua inevitabile globalizzazione, anzi, lo accentua. Adottando la dialettica, che comporta l'emergere della qualità dalla quantità, come chiave di comprensione della realtà storica, Marx di fatto anticipa la teoria dei sistemi complessi, che solo di recente, però, ha assunto una configurazione scientifica.

Un sistema complesso è un qualunque insieme di elementi o parti diversi tra loro e numerosi che evolve nel corso del tempo, ed è dunque dinamico (anche se le sue apparenze possono sembrare statiche). Una società rientra pienamente in questa categoria.

Un sistema dinamico può essere lineare o non lineare; nel primo caso esso è deterministico, vale a dire governato da leggi di causa-effetto che si possono rappresentare matematicamente; nel secondo è indeterministico, vale a dire non governato da leggi che consentono di operare previsioni certe, ma, al tempo stesso, caratterizzato da un'evoluzione che può comportare repentinamente discontinuità qualitative (catastrofi, le quali danno luogo alla destrutturazione del sistema e alla sua ristrutturazione in una nuova forma).

È inutile sottolineare in quale misura la teoria dei sistemi complessi, soprattutto nella versione della teoria delle catastrofi di R. Thom, riabilita la dialettica. Essa, infatti, implica che l'equilibrio di un sistema si mantiene finché le variabili che lo sottendono non raggiungono un punto critico (uno stato "conflittuale") che lo rende instabile strutturalmente e pone le premesse per un cambiamento imprevedibile in direzione di uno dei possibili stati nuovi di equilibrio.

L'applicazione di questi principi all'evoluzione dei processi storici e dei sistemi sociali è problematica solo perché (e non è poco) nei sistemi fisici e biologici le variabili che determinano lo stato del sistema sono di ordine meccanico (sono "forze"), mentre nei sistemi sociali esse si riconducono alla storia di un determinato sistema, che ha consentito ad esso di raggiungere una configurazione di equilibrio mantenutasi nel corso del tempo e all'agire, consapevole o inconsapevole, di esseri umani dotati di un visione del mondo che può comportare la "volontà" che il sistema stesso conservi la sua configurazione o la cambi più o meno radicalmente..

Non è certo una piccola differenza, che però viene ad essere minimizzata nel momento in cui si prende atto che nella sua espressione comportamentale più rilevante, che concerne la distribuzione del potere e della ricchezza sociale, lo stato di un sistema sociale è di fatto determinato dal rapporto di "forze" che si dà tra le classi o gli agenti sociali aggregati da una visione del mondo comune (sia essa eterogenea o omogenea).

Un'applicazione analogica, ma suggestiva, della teoria dei sistemi complessi alla politica si riconduce al periodo storico in cui Gramsci è vissuto: periodo contrassegnato da una crisi sistemica esitata nel crollo dei regimi assolutistici - gli Imperi centrali e la Russia zarista -, imprevedibili qualche anno prima e nell'avvento del comunismo in Russia, che si è riverberato poi in un conflitto tra democrazia liberale e partiti comunisti che, a un certo punto, in Italia e in Germania, lasciava presagire una rivoluzione comunista, ma che ha generato poi il fascismo e il nazismo.

Tenendo conto della teoria dei sistemi complessi, è più agevole capire i concetti di conservazione, innovazione e rivoluzione.

Gramsci scrive:

"§ 27 Una determinata corrente storicistica pone a suo fondamento e dichiara solo storicistico un metodo d’azione in cui il progresso storico (lo svolgimento) risulta dalla dialettica di conservazione e innovazione...

In realtà, se è vero che il progresso è dialettica di conservazione e innovazione e l’innovazione conserva superando il passato, è anche vero che il passato è cosa complessa e che è dato scegliere in questa complessità...

Ciò che sarà conservato nel processo dialettico sarà determinato dal processo stesso, sarà un fatto necessario, non un arbitrio di così detti scienziati e filosofi."

L'orientamento politico conservatore ritiene lo stato del sistema realizzato, se non ottimale, il migliore possibile. Esso non esclude la necessità che debbano darsi dei cambiamenti, ma li programma e li realizza in termini minimali, tali dunque da non alterare l'equilibrio sistemico.

L'orientamento riformistico accetta che, nella forma storicamente raggiunta, il sistema debba essere mantenuto, ma pone l'accento su cambiamenti indispensabili, e talora anche rilevanti, atti ad impedire che esso raggiunga uno stato di instabilità, foriero di possibili destrutturazioni "catastrofiche".

L'orientamento rivoluzionario, infine, fa riferimento alla necessità di cambiamenti radicali del sistema resi necessari dalle crisi di instabilità cui esso periodicamente va incontro e cerca di utilizzarle al fine di produrre un salto di qualità (una catastrofe) che dia luogo ad una nuova formazione economico-sociale.

Gramsci non è un rivoluzionario fanatico. Uomo di cultura, egli sa che nel patrimonio della civiltà occidentale - ricchissimo dal punto di vista filosofico, artistico, letterario,  scientifico, ecc. - c'è molto da conservare, ma sa anche che  tale patrimonio potrà essere fruito da tutti gli esseri umani solo in virtù di un nuovo sistema socio-economico che lo ponga al servizio del loro sviluppo.

In ciò, nell'essere determinato ma non fanatico e nel pensare che un cambiamento radicale del sistema sociale debba avvenire solo per effetto di una volontà collettiva orientata consapevolmente a produrlo, egli è un degno erede di Marx, del Marx secondo il quale il comunismo è la riappropriazione da parte della società della ricchezza sociale (materiale e "spirituale") prodotta nel corso della storia, che viene finalmente posta sotto il controllo e al servizio dell'uomo.

Alla luce della teoria dei sistemi complessi, che, tra l'altro comporta il riferimento alla possibilità che una rivoluzione intervenga a partire da qualsivoglia stato del sistema in questione (quindi anche da uno stato di apparente equilibrio), rimane il problema se agenti consapevoli possano e in quale misura incidere su dinamiche sistemiche caratterizzate da indefinite variabili; se sia possibile, in pratica, che gli esseri umani giungano a prendere il controllo sul loro destino.

Escludere tale possibilità, significa relegare il marxismo nell'ambito delle utopie senza senso.

Ammetterla, però, oggi significa prescindere da una rigida pianificazione sia per quanto concerne il cambiamento radicale del sistema capitalistico sia per quanto inerisce l'amministrazione del nuovo sistema da esso prodotto.

L'importanza di una volontà collettiva dotata di una coscienza universale (che va prodotta politicamente e culturalmente), consapevolmente orientata verso l'umanizzazione del mondo, rimane.

Essa però va ricondotta alla metafora della navigazione. Un sistema storico-sociale è un enorme vascello a vela che naviga sull'onda dei processi passati e presenti, che comportano il concorso di indefinite variabili le quali escludono che l'uomo possa giungere a controllarle pienamente. Ciò nondimeno, la rotta può essere cambiata e una meta diversa può essere perseguita manovrando le vele e il timone...