Gramsci, come risulta chiaro della lettura del testo pubblicato in Mat.
Bibl., non è stato certo il primo ad avviare una riflessione seria
sulla cultura popolare o folklore. Il recupero e la valorizzazione del
suo pensiero nella cornice dei cosiddetti Cultural Studies attestano
però che le sue intuizioni non sono caduche.
Il motivo di fondo per cui Gramsci dedica un interesse crescente al
folclore non è, come accade oggi sempre più spesso, di ordine meramente
culturale, sotteso cioè dal desiderio di scoprire in esso i residui di simbolismi atavici, delle tradizioni popolari, dell'attività immaginaria dell'inconscio, ecc., bensì politico.
All'epoca della sua attiva militanza, Gramsci aderisce al
punto di vista marxiano secondo il quale il ribellismo delle masse
proletarie e contadine contiene un potenziale rivoluzionario che può assumere la dimensione di una coscienza di classe, posto che ad esso sia
fornita l'arma della critica, vale a dire una chiave per interpretare
il corso della storia e orientarla consapevolmente nella direzione di
un mondo affrancato dall'oppressione e dallo sfruttamento.
Egli, però, in seguito alla delusione della rivoluzione mancata del
biennio rosso e ancor più nei lunghi anni di detenzione, è tra i primi a capire che la teoria marxiana della
coscienza di classe ha rilevanti lacune. Nonostante Marx,
infatti, avesse a tal punto consapevolezza dell'incidenza delle
tradizioni culturali sulle masse popolari da avere scritto che "il peso
di tutte le generazioni passate grava come un incubo sul cervello dei
viventi", le esigenze di vedere finalmente realizzata una rivoluzione
proletaria lo hanno indotto, se non a trascurare, a minimizzare tale
incidenza.
La prima, grande intuizione gramsciana sta nel sottolineare che la
cultura popolare, con le sue contraddizioni, i suoi pregiudizi, le sue
convinzioni spesso prive o quasi di fondamento, svolge la funzione
indispensabile di una visione del mondo che, comunque, dà un qualche
senso alla realtà e consente di orientarsi in essa, sia pure alla luce
del senso comune. Data tale funzione, essa è anche una gabbia o un
recinto mentale che tende ad ostacolare il tragitto delle coscienze
verso un modo di vedere e di agire critico e aperto al cambiamento.
Non è superfluo rilevare che questa intuizione gramsciana è la stessa
che, negli anni '40 del Novecento, ha presieduto alla fondazione della
scuola de Les Annales. In un articolo famoso (Storia sociale e ideologie delle società in Fare Storia, Einaudi, Torino 1981), G. Duby illustra superbamente l'approccio della sua scuola al problema delle ideologie. Egli scrive:
"E’ chiaro che la storia delle società deve fondarsi su un'analisi delle strutture materiali...
Per comprendere l'organizzazione delle società umane e per riconoscere le forze che le fanno evolvere occorre prestare ugualmente attenzione ai fenomeni mentali, il cui intervento indiscutibilmente non è meno determinante di quello dei fenomeni economici e demografici. Gli uomini infatti regolano il loro comportamento in funzione non della loro reale condizione, ma dell'immagine che se ne fanno e che non ne è mai il rispecchiamento fedele. Si sforzano di conformarla a modelli di comportamento che sono il prodotto di una cultura, e che, nel corso della storia, possono adattarsi più o meno bene alle diverse realtà materiali...
Le ideologie presentano un certo numero di caratteristiche che è opportuno mettere subito in evidenza:
1. Appaiono come come sistemi completi e sono naturalmente globalizzanti, dal momento che pretendono di offrire della società, del suo passato, del suo presente, del suo futuro, una visione del mondo...
2. Le ideologie, che hanno come prima funzione quella di rassicurare sono, altrettanto naturalmente, deformanti...
3. [...] In una società data, coesistono molteplici sistemi di rappresentazioni, che, naturalmente, sono concorrenti.
4. Totalizzanti, deformanti, concorrenti, le ideologie si dimostrano anche stabilizzatrici."
L'analisi di Duby può esser facilmente incorporata nella cornice del pensiero gramsciano tranne che per un aspetto. Per la scuola de Les Annales, infatti, le ideologie, e soprattutto quelle che fanno presa sulle masse popolari, scorrono nell'inconscio sociale, considerato come lo strato più profondo della struttura sociale e caratterizzato, per giunta, da una straordinaria inerzia. Esse rappresentano quadri di mentalità, fortemente influenzati dalle tradizioni e dall'ideologia dominante, la cui trasmissione avviene sotterraneamente di generazione
in generazione: veri e propri "recinti mentali" a tal punto ingabbiante da essere ancora,
nelle falde profonde del sistema sociale, anche quando le persone
pensano di essersene affrancate.
Alla luce di questi concetti, il passaggio ad
una coscienza critica o a una coscienza di classe universale è ben più
arduo di quanto Marx stesso e i suoi eredi ortodossi potessero
immaginare.
L'altra grande intuizione gramsciana è che la cultura popolare, con
tutti i suoi limiti, comporta un'opposizione, consapevole e più spesso
inconsapevole, alla cultura ufficiale. Grazie al folklore, infatti, "gli «strati inferiori» della
piramide sociale si rendono parzialmente in grado di resistere alle
influenze delle filosofie «superiori» e di formularne una critica
«rozza»." Tale resistenza, secondo Gramsci, pone le premesse di un
superamento della cultura popolare in una direzione che non sia
l'omologazione all'ideologia dominante.
Mentre la prima intuizione gramsciana è del tutto attuale (anche se,
per essere approfondita, richiede di fare ricorso all'inconscio
sociale, vale a dire ad un concetto ostico per la filosofia marxista),
la seconda è datata.
L'omologazione culturale dei ceti subordinati si è, negli ultimi
decenni, realizzata quasi compiutamente, al punto che i Cultural
Studies prescindono quasi dall'indagare il potenziale critico presente
nel folklore e si dedicano sempre più ad esplorare i residui (simbolici
e materiali) sopravvissuti all'omologazione borghese della società.
Elementi di folclore persistono all'interno di tutte le società cosiddette avanzate, ma il problema della cultura popolare non si pone ormai in termini di opposizione inconsapevole rispetto all'ideologia dominante, bensì in termini di omologazione ad essa con effetti di sincretismo inquietanti.