Quaderno 17

Nota di lettura

L'ombra del nazismo


Scritto nello stesso periodo in cui Hitler giunge al potere e avvia la rapida evoluzione di un regime dittatoriale, il Quaderno 17, anche se non fornisce un'analisi critica del Nazismo, comporta una serie di note che, anche apparentemente slegate tra loro, lasciano pensare che Gramsci abbia oscuramente intuito ciò che stava accadendo e cio che sarebbe accaduto.

Ben due  paragrafi (§ 10 e §14), fanno riferimento alle discussioni su una guerra futura, la cui probabilità è attestata dal fatto che la "letteratura in proposito" è "ormai imponente in tutti i paesi".  A Gramsci interessa soprattutto l'aspetto politico, vale a dire il conflitto tra vecchie e nuove strutture militari. Queste ultime, però, sono legate allo sviluppo dell'aviazione, la quale lascia presagire un cambiamento radicale di strategia, destinato a soppiantare i grandi eserciti di leva che, nel corso della Prima Guerra mondiale, si sono impantanati nelle trincee. L'intuizione, insomma, è quella della guerra-lampo, che la Germania realizzerà effettivamente qualche anno dopo con il ricorso all'aviazione e ai mezzi corazzati come forze di sfondamento.

In altri due paragrafi (§42 e 50), Gramsci fa riferimento a Clausewitz, il generale prussiano autore di un saggio (Della guerra) divenuto la Bibbia degli strateghi militari, la cui pubblicazione per la prima volte in Italia nel 1933 è un segno dei tempi.

Nel § 51, Gramsci cita, per criticarla, una frase di Hitler tratta dal Mein Kampf. Come rileva Gerratana nell'apparato critico, si tratta probabilmente di una citazione di seconda mano. Non c'è prova che Gramsci abbia letto il terribile libercolo hitleriano. Anche al riguardo l'approccio gramsciano è di ordine politico. Ciò che sta accadendo, a suo avviso,  sulla base di un antico conflitto svoltosi nella Francia della Restaurazione tra l’elemento gallico originario  e quello germanico sovrappostosi alla antica nazionalità, è l'affermarsi della tendenza "del razzismo e della superiorità della razza germanica, che, da elemento polemico dell’aristocrazia francese per giustificare una Restaurazione più radicale, un ritorno integrale alle condizioni del regime prerivoluzionario, divenne, attraverso Gobineau e Chamberlain, un elemento della cultura tedesca (d’importazione francese) con sviluppi nuovi e impensati."

Perché impensati? Perché, appena qualche anno prima, quasi in contemporaneità con il biennio rosso italiano, cui Gramsci ha partecipato, la Germania sembrava la nazione occidentale più vicina ad un'esplosione rivoluzionaria, che avrebbe presumibilmente modificato il corso della storia. La durissima repressione della Lega di Spartaco ad opera di un governo socialdemocratico, esitata nell'uccisione di Rosa Luxemburg e di Karl Liebknecht, segnano la fine dell'illusione di un'estensione europea dell'esperienza sovietica, e l'avvio di un processo che, nel giro di pochi anni, dal 1923 al 1929, segna l'avvio dell'egemonia nazista.

Com'è possibile - sembra chiedersi tra le righe Gramsci - che una nazione come la Germania, nella quale la classe proletaria aveva raggiunto quasi il potere, sia precipitata in una spirale regressiva?

Egli identifica genialmente la trama culturale per cui il morbo razzista trapassa dalla Francia della Restaurazione alla cultura tedesca e prevede gli sviluppi che quel morbo potrà avere attecchendo nella nazione più potente d'Europa.

Per quanto isolato dal mondo, insomma, Gramsci respira ciò che vi è di tragico nell'aria. Non ha, però, sufficienti informazioni sul nazismo per portare avanti un'analisi.

Fare storia contemporanea, del resto, è estremamente difficile.

Per essere apprezzate pienamente, queste intuizioni gramsciane vanno correlate alle numerose note, dedicate, nel Quaderno stesso, all'Umanesimo e al Rinascimento. Sono questi temi costanti della riflessione gramsciana, ma qui assumono un significato particolare.

Gramsci ha sempre interpretato l'Umanesimo e il Rinascimento come l'avvio di un processo storico-culturale affrancato dalla trascendenza e incentrato sulla valorizzazione dell'uomo (ovvero sul " distacco da tutti i legami medioevali di fronte alla religione, all’autorità, alla patria, alla famiglia") destinato ad esitare nell'affermazione del marxismo come umanesimo e storicismo integrale.

I tempi però sembrano attestare che quel processo non solo non è giunto a compimento, ma è andato incontro ad un'inversione.

Che tale inversione si sia realizzata in Italia non è sorprendente per Gramsci dato che il Rinascimento italiano è esitato nella Controriforma,  la rivoluzione risorgimentale è rimasta incompiuta e  il biennio rosso è andato incontro ad un fallimento.

Lo sorprende, invece, che l'inversione abbia investito l'Europa e, in particolare, la nazione che nell'Ottocento ha raggiunto il massimo sviluppo culturale, ha fornito con la sua filosofia una delle matrici del marxismo e ha visto la classe operaia, con la Lega di Spartaco, tentare l'assalto al potere al fine di instaurare un regime comunista (che, sotto la guida della Luxemburg, sarebbe stato sicuramente diverso da quello sovietico).

La sorpresa, in realtà, è relativa. Essa fa capo, infatti, alle aspre critiche rivolte da Schopenhauer, da Marx e da Nietzsche riguardo alla psicologia e alla cultura del popolo tedesco. Per quanto formulate in tempi diversi e da prospettive diverse, le critiche sono accomunate dal rilievo dell'asfittico etnocentrismo che sottende la storia della nazione tedesca. Una prova clamorosa, e nota, di tale etnocentrismo è la conclusione di Hegel secondo la quale la storia dei popoli termina con lo stato Prussiano, che rappresenta lo stato perfetto, nel quale si incarna anche la figura di Dio. Dall'etnocentrismo al nazionalismo e da questo al mito della superiorità della razza ariana il passo è breve.

Per quanto stringata, la citazione di Gramsci attesta che egli ha piena consapevolezza della natura "endogena" del Nazismo. Egli anticipa e risolve la querelle, che ancora oggi si trascina, sulla natura reattiva del Nazismo rispetto al Comunismo. Una componente reattiva va senz'altro ammessa tenendo conto che, con la Rivoluzione russa, il fantasma evocato da Marx prende corpo e incombe sull'Europa occidentale terrorizzando la classe borghese nella sua totalità (alta, media e piccola borghesia). Quella componente, però, si intreccia con un esasperato nazionalismo di antica data che fa leva su una popolazione frustrata e instabile, una popolazione che non aspetta altro che un capo "carismatico" che si faccia carico della sua aspirazione al primato mondiale.