Quaderno 10 e 10b

Nota di lettura

Che cosa è l'uomo

Come è ormai chiaro, il problema antropologico - vale a dire, nei termini gramsciani, che cosa è l'uomo? - si ripresenta spesso nei Quaderni. Non è un caso che esso sia affrontato dettagliatamente nel Quaderno 10 dedicato alla filosofia di Benedetto Croce. Il modello antropologico gramsciano, la cui matrice è marxista, di fatto si pone come antitetico a quello idealistico implicito nel pensiero crociano.

È riduttivo ricondurre il primo al primato dell'azione e il secondo al primato del pensiero.

La concezione antropologica gramsciana si può ricavare dalle seguenti citazioni:

"Q 10 § 17 La maggior parte degli uomini sono filosofi in quanto operano praticamente e nel loro pratico operare (nelle linee direttive della loro condotta) è contenuta implicitamente una concezione del mondo, una filosofia."

"Q 10 § 54  Che cosa è l’uomo?... ponendoci la domanda che cosa è l’uomo vogliamo dire: che cosa l’uomo può diventare, se cioè l’uomo può dominare il proprio destino, può «farsi», può crearsi una vita...

Occorre concepire l’uomo come una serie di rapporti attivi (un processo) in cui se l’individualità ha la massima importanza, non è però il solo elemento da considerare. L’umanità che si riflette in ogni individualità è composta di diversi elementi: 1) l’individuo; 2) gli altri uomini; 3) la natura...

Se la propria individualità è l’insieme di questi rapporti, farsi una personalità significa acquistare coscienza di tali rapporti, modificare la propria personalità significa modificare l’insieme di questi rapporti...

Bisogna elaborare una dottrina in cui tutti questi rapporti sono attivi e in movimento, fissando ben chiaro che sede di questa attività è la coscienza dell’uomo singolo che conosce, vuole, ammira, crea, in quanto già conosce, vuole, ammira, crea ecc. e si concepisce non isolato ma ricco di possibilità offertegli dagli altri uomini e dalla società delle cose, di cui non può non avere una certa conoscenza. (Come ogni uomo è filosofo, ogni uomo è scienziato ecc.)."

"Q 10 § 54 La possibilità non è la realtà, ma è anch’essa una realtà: che l’uomo possa fare una cosa o non possa farla, ha la sua importanza per valutare ciò che realmente si fa...

Possibilità vuol dire «libertà». La misura delle libertà entra nel concetto d’uomo...

Ma l’esistenza delle condizioni obbiettive, o possibilità o libertà non è ancora sufficiente: occorre «conoscerle» e sapersene servire. Volersene servire.

L’uomo, in questo senso, è volontà concreta, cioè applicazione effettuale dell’astratto volere o impulso vitale ai mezzi concreti che tale volontà realizzano. Si crea la propria personalità: 1) dando un indirizzo determinato e concreto («razionale») al proprio impulso vitale o volontà; 2) identificando i mezzi che rendono tale volontà concreta e determinata e non arbitraria; 3) contribuendo a modificare l’insieme delle condizioni concrete che realizzano questa volontà nella misura dei propri limiti di potenza e nella forma più fruttuosa.

L’uomo è da concepire come un blocco storico di elementi puramente individuali e soggettivi e di elementi di massa e oggettivi o materiali coi quali l’individuo è in rapporto attivo. Trasformare il mondo esterno, i rapporti generali, significa potenziare se stesso, sviluppare se stesso.

Che il «miglioramento» etico sia puramente individuale è illusione ed errore: la sintesi degli elementi costitutivi dell’individualità è «individuale», ma essa non si realizza e sviluppa senza un’attività verso l’esterno, modificatrice dei rapporti esterni, da quelli verso la natura a quelli verso gli altri uomini in vari gradi, nelle diverse cerchie sociali in cui si vive, fino al rapporto massimo, che abbraccia tutto il genere umano."

Questi attributi antropologici, per essere compresi appieno, vanno inseriti in una cornice filosofica che rifiuta qualunque tipo di trascendenza, di spiritualismo e di idealismo. Tale rifiuto è espresso in maniera radicale in una nota del Quaderno 10b:

"Q 10 b § 8

La filosofia della praxis deriva certamente dalla concezione immanentistica della realtà, ma da essa in quanto depurata da ogni aroma speculativo e ridotta a pura storia o storicità o a puro umanesimo...

Non solo la filosofia della praxis è connessa all’immanentismo, ma anche alla concezione soggettiva della realtà, in quanto appunto la capovolge, spiegandola come fatto storico, come «soggettività storica di un gruppo sociale», come fatto reale, che si presenta come fenomeno di «speculazione» filosofica ed è semplicemente un atto pratico, la forma di un contenuto concreto sociale e il modo di condurre l’insieme della società a foggiarsi una unità morale. L’affermazione che si tratti di «apparenza», non ha nessun significato trascendente e metafisico, ma è la semplice affermazione della sua «storicità», del suo essere «morte‑vita», del suo rendersi caduca perché una nuova coscienza sociale e morale si sta sviluppando, più comprensiva, superiore, che si pone come sola «vita», come sola «realtà» in confronto del passato morto e duro a morire nello stesso tempo.

La filosofia della praxis è la concezione storicistica della realtà, che si è liberata da ogni residuo di trascendenza e di teologia anche nella loro ultima incarnazione speculativa."

Fedele allo spirito di Marx, radicalmente ateo, Gramsci non sembra consapevole del fatto che, se si affrancano da qualsivoglia forma di trascendenza, gli esseri umani acquisiscono, prima ancora della consapevolezza della loro natura di esseri radicalmente sociali, unti da un destino comune, quella del loro essere "gettati" nel mondo dal caso, della loro condizione esistenziale.

Il marxismo anticipa la "morte di Dio" nietzschiana e, senza forse considerare adeguatamente le conseguenze di questo passaggio epocale nella storia umana, sopperisce ad essa assegnando agli esseri umani un nuovo compito. Esclusa la salvezza, l'immortalità, ecc., essi devono prendere atto della storicità della loro esperienza, di essere cioè soggetti perpetuamente interagenti con altri soggetti entro un determinato sistema socio-economico e culturale che va organizzato a misura d'uomo.

In nome di che?

In nome della libertà:

"Q 10b § 10

La storia è libertà in quanto è lotta tra libertà e autorità, tra rivoluzione e conservazione, lotta in cui la libertà e la rivoluzione continuamente prevalgono sull’autorità e la conservazione."

La libertà in questione non è un valore astratto, non è un diritto (se non in senso formale): è una conquista che il soggetto può realizzare tenendo conto delle circostanze ambientali e agendo su di esse al fine, per quanto possibile, di modificarle.

In questa concezione della libertà riecheggia il messaggio di Marx: "chi libera sé libera gli altri."

Un miglioramento etico puramente individuale è un'illusione: l'autorealizzazione individuale non può avvenire che in virtù di un conflitto con le istanze di conservazione intrinseche ad ogni sistema sociale. La conquista della libertà individuale implica l'agire atti di volontà che la realizzano ma, al tempo stesso, incidono sul contesto storico in cui l'individuo è immerso: "la sintesi degli elementi costitutivi dell’individualità è «individuale», ma essa non si realizza e sviluppa senza un’attività verso l’esterno, modificatrice dei rapporti esterni."

Posta in questi termini, la libertà non è solo un bisogno ma un dovere che l'individuo ha nei propri confronti e nei confronti degli altri. Il divenire, da ultimo, è libertà.

Questa nobile concezione antropologica, che dà ad ogni esperienza umana il carattere di un tragitto di liberazione, riconosce un solo limite. Per liberarsi l'uomo deve sapere ciò che lo opprime e limita  il suo divenire sul registro oggettivo e su quello soggettivo. Ora, sul primo registro questa consapevolezza, se non immediata, è senz'altro possibile. Sul registro interiore le cose sono più complesse perché, come già accennato, la coscienza umana ha un potere di controllo molto limitato sul mare dell'inconscio su cui galleggia e nel quale sono comunemente presenti spinte motivazionali conservatrici (frutto in gran parte delle tradizioni e dell'eredità culturale) e spinte innovative.

Le prime tendono a subordinare l'individuo alla volontà altrui e ad adattarlo allo status quo: fine perseguito insistentemente dalle pratiche pedagogiche e culturali. Le seconde spingono nella direzione della conquista della libertà individuale, che, di fatto, è un tragitto di liberazione il quale non implica solo la consapevolezza dei fattori oggettivi che la limitano o la reprimono, ma anche di quelli soggettivi.

C'è, insomma, una dialettica nella struttura stessa dell'apparato mentale umano di cui il marxismo non può non tenere conto, e su cui si tornerà in una nota ulteriore.

L'esistenza di tali spinte a livello inconscio rende il tragitto di liberazione ben più complesso di quanto appaia nel pensiero gramsciano.