Rivoluzione russa

 

(GP, 29 aprile 1917)

“La rivoluzione russa ha ignorato il giacobinismo… La rivoluzione russa ha distrutto l'autoritarismo e gli ha sostituito il suffragio universale, estendendolo anche alle donne. All'autoritarismo ha sostituito la libertà, alla costituzione ha sostituito la libera voce della coscienza universale. Perché i rivoluzionari russi non sono giacobini, non hanno cioè sostituito alla dittatura di un solo la dittatura di una minoranza audace e decisa a tutto pur di far trionfare il suo programma? Perché essi perseguono un ideale che non può essere solo di pochi, perché essi sono sicuri che quando tutto il proletariato russo sarà da loro interrogato, la risposta non può essere dubbia: essa è nelle coscienze di tutti e si trasformerà in decisione irrevocabile non appena potrà esprimersi in un ambiente di libertà spirituale assoluta, senza che il suffragio sia pervertito dall'intervento della polizia e dalla minaccia della forca o dell'esilio.”

“I rivoluzionari russi hanno aperto le carceri non solo ai condannati politici, ma anche ai condannati per reati comuni. In un reclusorio i condannati per reati comuni, all'annunzio che erano liberi, risposero di non sentirsi in diritto di accettare la libertà perché dovevano espiare le loro colpe… La loro liberazione ha per noi questo significato: in Russia è un nuovo costume che la rivoluzione ha creato.

Essa ha non solo sostituito potenza a potenza, ha sostituito costume a costume, ha creato una nuova atmosfera morale, ha instaurato la libertà dello spirito, oltre che la libertà corporale. I rivoluzionari non hanno avuto paura di rimettere in circolazione uomini che la giustizia borghese ha bollato col marchio infame di pregiudicati, che la scienza borghese ha catalogato nei vari tipi di criminali delinquenti. Solo in un'atmosfera di passione sociale può avvenire un tal fatto, quando il costume è cambiato, quando la mentalità predominante è cambiata.”

 

(AV, 24 dicembre 1917)

“La rivoluzione dei bolsceviki è materiata di ideologie più che di fatti. (Perciò, in fondo, poco ci importa sapere più di quanto sappiamo). Essa è la rivoluzione contro il Capitale di Carlo Marx. Il Capitale di Marx era, in Russia, il libro dei borghesi, più che dei proletari. Era la dimostrazione critica della fatale necessità che in Russia si formasse una borghesia, si iniziasse un'era capitalistica, si instaurasse una civiltà di tipo occidentale, prima che il proletariato potesse neppure pensare alla sua riscossa, alle sue rivendicazioni di classe, alla sua rivoluzione. I fatti hanno superato le ideologie. I fatti hanno fatto scoppiare gli schemi critici entro i quali la storia della Russia avrebbe dovuto svolgersi secondo i canoni del materialismo storico. I bolsceviki rinnegano Carlo Marx, affermano, e con la testimonianza dell'azione esplicata, delle conquiste realizzate, che i canoni del materialismo storico non sono così ferrei come si potrebbe pensare e si è pensato…

Se i bolsceviki rinnegano alcune affermazioni del Capitale, non ne rinnegano il pensiero immanente, vivificatore. Essi non sono «marxisti», ecco tutto; non hanno compilato sulle opere del Maestro una dottrina esteriore, di affermazioni dogmatiche e indiscutibili. Vivono il pensiero marxista, quello che non muore mai, che è la continuazione del pensiero idealistico italiano e tedesco, e che in Marx si era contaminato di incrostazioni positivistiche e naturalistiche. E questo pensiero pone sempre come massimo fattore di storia non i fatti economici, bruti, ma l'uomo, ma le società degli uomini, degli uomini che si accostano fra di loro, si intendono fra di loro, sviluppano attraverso questi contatti (civiltà) una volontà sociale, collettiva, e comprendono i fatti economici, e li giudicano, e li adeguano alla loro volontà, finché questa diventa la motrice dell'economia, la plasmatrice della realtà oggettiva, che vive, e si muove, e acquista carattere di materia tellurica in ebullizione, che può essere incanalata dove alla volontà piace, come alla volontà piace.”

 

(GP, 16 marzo 1918)

Un anno è trascorso, dal giorno in cui il popolo russo costringeva lo zar Nicola II ad abdicare e prendere la via dell'esilio. La commemorazione dell'anniversario è poco lieta. Dolore, rovina, apparenza di sfacelo, controffensiva borghese con le baionette e le mitragliatrici tedesche. 

E' finita la rivoluzione russa? E' fallito, in Russia, il proletariato, nel più grande dei tentativi di riscossa che esso abbia mai tentato nella storia? Le apparenze sono sconfortanti: i generali tedeschi sono arrivati ad Odessa: i giapponesi si dice stiano per intervenire; 50 milioni di cittadini sono stati staccati dalla rivoluzione, e con essi le terre più fertili, gli sbocchi al mare, le strade della civiltà e della vita economica. La rivoluzione nata dal dolore e dalla disperazione, continua nel dolore e nelle sofferenze, stretta in un anello di potenze nemiche, immersa in un mondo economico refrattario alle sue idealità, ai suoi fini. 

Nel marzo del 1917 il telegrafo ci annunziò che un mondo era crollato in Russia: mondo effimero ormai, inanimata parvenza di un potere che era sorto, si era rafforzato, si era trascinato, con la violenza sanguinosa, con la compressione degli spiriti, con la tortura delle carni dilaniate. Aveva questo potere suscitato una grande macchina statale. 170 milioni di creature umane erano state costrette a dimenticare la loro umanità, la loro spiritualità per servire. A che? All'idea dell'Impero russo, del grande Stato russo che doveva arrivare ai mari caldi e aperti per assicurare all'attività economica sbocchi sicuri da ogni taglia di concorrenti, da ogni sorpresa di guerra. L'Impero russo era una mostruosa necessità del mondo moderno: per vivere, svilupparsi, per assicurarsi le vie dell'attività, dieci razze, 170 milioni di uomini dovevano sottostare a una disciplina statale feroce; dovevano rinunziare all'umanità ed essere puro strumento del potere. 

Nel marzo 1917 la macchina mostruosa crolla, imputridita, disfatta nella sua impotenza congenita. Gli uomini si drizzano, si guardano negli occhi. Tutti i valori umani hanno il sopravvento. L'esteriorità non ha più valore; troppo male ha fatto, troppi dolori ha prodotto, troppo sangue ha versato. Incomincia la storia, la vera storia. Ognuno vuole essere padrone del proprio destino, si vuole che la società sia plasmata in ubbidienza allo spirito, e non viceversa. L'organizzazione della convivenza civile deve essere espressione di umanità, deve rispettare tutte le autonomie, tutte le libertà. Incomincia la nuova storia della società umana, incominciano le esperienze nuove della storia dello spirito umano. Esse vengono a coincidere con le espressioni che l'ideale socialista aveva dato ai bisogni elementari degli uomini. I socialisti come ceto politico salgono al potere senza troppi sforzi: le parole della loro fede coincidono con le aspirazioni confuse e vaghe del popolo russo. 

Essi devono realizzare l'organizzazione nuova, devono dettare le nuove leggi, stabilire i nuovi ordinamenti. Il passato continua a sussistere; viene disgregato. Si ha la parvenza dello sfacelo, del disordine, della confusione. Sembra che si ritorni alla società barbarica, cioè alla non società. Il passato continua a sussistere oltre il territorio della libertà, e preme e vuole prendere una rivincita. 

L'ordine nuovo tarda a realizzarsi. Tarda? O uomini scettici e perversi, non tarda, no perché non si rifà una società in un fiat, perché il male del passato non è un edifizio di cartapesta cui si dà fuoco in un attimo. Doloroso sforzo è la vita, lotta tenace contro le abitudini, contro l'animalità e l'istinto grezzo che latra continuamente. Non si crea una società umana in sei mesi, quando tre anni di guerra hanno esaurito un paese, l'hanno privato dei mezzi meccanici per la vita civile. Non si riorganizzano milioni e milioni di uomini in libertà, così, semplicemente, quando tutto è avverso, e non sussiste che lo spirito indomabile. La storia della rivoluzione russa non si è chiusa e non si chiuderà con l'anniversario del suo iniziarsi. Come un canto esiste nella fantasia del poeta prima che sulla carta stampata, l'avvento dell'organizzazione sociale esiste nelle coscienze e nelle volontà. Sono gli uomini cambiati: questo importa. Si vuole l'esteriorità, la carta stampata. Si stride per ogni insuccesso, per ogni rovescio apparente. 

Si domanda ai russi ciò che gli storici non domandano alle rivoluzioni passate: la creazione fulminea di un ordine nuovo. Si suppongono propositi che non sono mai esistiti, speranze che non sono mai state sognate. E questi propositi, queste speranze sono confrontate con la realtà attuale per concludere al fallimento, allo sfacelo. Con la realtà che si dice sortita da un anno di nuova storia, ma che è sortita da secoli di bestiale soppressione dell'uomo dalla storia. Si domanda l'impossibile che non è mai stato domandato agli uomini del passato. 

Quante volte la Rivoluzione francese ha visto occupata la capitale dai nemici? E l'occupazione veniva dopo che Napoleone aveva organizzato autoritariamente le forze rivoluzionarie, e aveva condotto gli eserciti francesi di vittoria in vittoria. E la Francia era ben piccola cosa in confronto della Russia sterminata. 

No, le forze meccaniche non prevalgono mai nella storia: sono gli uomini, sono le coscienze, è lo spirito che plasma l'esteriore apparenza, e finisce sempre col trionfare. Un anno di storia si è chiuso, ma la storia continua, (sei righe censurate).

 

(AV, 25 luglio 1918)

“La rivoluzione russa è dominio della libertà: l'organizzazione si fonda per spontaneità, non per arbitrio di un «eroe» che s'impone con la violenza. È un'elevazione umana continua e sistematica, che segue una gerarchia, che si crea volta a volta gli organi necessari della nuova vita sociale.

Ma allora non è il socialismo?... No, non è il socialismo, nel senso balordissimo che alla parola dànno i filistei costruttori di progetti mastodontici; è la società umana che si sviluppa sotto il controllo del proletariato. Quando questo sarà organizzato nella sua maggioranza, la vita sociale sarà più ricca di contenuto socialista di quanto non sia ora, e il processo di socializzazione andrà sempre più intensificandosi e perfezionandosi. Perché il socialismo non si instaura a data fissa, ma è un continuo divenire, uno sviluppo infinito in regime di libertà organizzata e controllata dalla maggioranza dei cittadini, o dal proletariato.”

 

(AV, 4 aprile 1919)

I bilanci rossi della Russia soviettista sono passivi, crudelmente passivi. Il "Momento" ne piange come un vitellino, il "Momento" ne soffre con tutta l'anima sua francescana. Pensate, pensate: 13.700 persone fucilate al primo gennaio 1919 come controrivoluzionarie, senza contare quelle condannate "per intuizione"; pensate, pensate, lo ha dichiarato lo stesso commissario Lissoflski. E diciassette miliardi di deficit, pensate, pensate, piangete, piangete, o cuoricini di burro alberganti nei seni di zucchero filato delle tenere Perpetue o dei sentimenti curati! Vade retro, o comunismo, qua l'aspersorio contro il Soviet; crudeli e nefandissimi mostri apocalittici, giammai fascinerete le tenerissime Perpetue, giammai udrete Te Deum in vostra gloria! 

Quando mai apparve sulla incruenta terra una macchina di strage, un flagello distruttore di vite e di miliardi, così orripilante come la Rivoluzione soviettista? Cos'è stata la strage degli Albigesi? Un gioco da giardino d'infanzia: e, per carità, non pensate mica che Innocenzo papa sia stato un precursore dell' "intuizionismo", quando predicava di uccidere, di uccidere, poiché tanto il Signor Iddio Misericordioso avrebbe, egli, nel suo onnisapere, sceverato la bianca agnella dalla pecora tignosa; dimostrerete di essere solo un volgare anticlericale, senza rudimento alcuno di teologia e di catechismo. 

Cos'è stata la guerra dei contadini in Germania? Un giocattolo di Norimberga, sebbene si affermi abbia distrutto dodici milioni di vite umane. Cosa sono state le distruzioni di fiamminghi , di Incas, e di marrani commessi dai cattolicissimi re spagnoli? Servizi alla santa religione sono stati, corvées devotissime di vassalli del Signor Nostro Onnipotente Gesù Cristo. Cosa sono i dieci milioni di morti e dieci milioni di invalidi e mutilati, eredità della guerra che Sua Santità Benedetto ha definito "inutile strage", ma che il "Momento" crede utilissima, poiché Sua Santità è Pontefice della Chiesa Cattolica, mentre il "Momento" è solo organo del Partito popolare italiano? 

Cosa sono i venti milioni di morti per grippe o febbre spagnola, o peste polmonare, ossia peste di guerra, determinata e propagata e coltivata dalle condizioni create e lasciate dalla guerra? Cosa sono le migliaia e migliaia di creature umane che muoiono quotidianamente di fame, di scorbuto, di assideramento in Romania, in Boemia, in Armenia, in India, per accennare solo a paesi amici dell'Intesa? 

Cosa sono gli ottanta miliardi di deficit del bilancio Italiano, i centoventi miliardi del bilancio francese, i duemila miliardi di danni determinati dalla guerra? 

Cosa sono stati i cinquecentomila russi sterminati dal governo zarista nella repressione dei Soviet del 1905? Cosa farebbero i ventimilioni di russi che verrebbero sterminati se trionfasse la controrivoluzione dei generali Krasnof, Denikin e Kolciak, gli amici dell'Intesa che fanno impiccare ed esporre per tre giorni un operaio su dieci dei paesi che riescono a riconquistare, gli amici dell'Intesa che spediscono a Pietrogrado vagoni piombati di soldati soviettisti tagliati a pezzettini? 

Cosa sono, cosa sono?... Bazzecole, piccolezze, azioni magnanime, in confronto di 13.700 fucilati e 17 miliardi di deficit. La rivoluzione sociale è il flagello, è il mostro apocalittico. Cos'è, cosa vale infatti una vita proletaria in confronto di una vita borghese? Studiate economia, che diamine; un borghese vale almeno diecimila proletari; i 13.700 fucilati dai Soviet valgono dunque 137 milioni di proletari e non sono 137 milioni di proletari che il capitalismo internazionale ha svenato per i suoi affari, per concimare le sue messi. 

Piangete, piangete, dunque, tenerissime Perpetue e sensibilissimi curati del Piemonte, e non lasciatevi fascinare dal comunismo, dal Soviet, dalla rivoluzione sociale.

 

(ON, 7 giugno 1919)

“Cosa domanda ancora la storia al proletariato russo per legittimare e rendere permanenti le sue conquiste? Quale altra taglia di sangue e di sacrifizio pretende ancora questa sovrana assoluta del destino degli uomini? 

Le difficoltà e le obiezioni che la rivoluzione proletaria deve superare si sono rilevate immensamente superiori a quelle di ogni altra rivoluzione del passato. Queste tendevano solo a correggere la forma della proprietà privata e nazionale dei mezzi di produzione e di scambio; toccavano una parte limitata degli aggregati umani. La rivoluzione proletaria è la massima rivoluzione: poiché vuole abolire la proprietà privata e nazionale, e abolire le classi, essa coinvolge tutti gli uomini, non solo una parte di essi. Obbliga tutti gli uomini a muoversi, a intervenire nella lotta, a parteggiare esplicitamente. Trasforma la società fondamentalmente: da organismo pluricellulare; pone a base della società nuclei già organici di società stessa. Costringe tutta la società a identificarsi con lo Stato, vuole che tutti gli uomini siano consapevolezza spirituale e storica. 

Perciò la rivoluzione proletaria è sociale: perciò deve superare difficoltà e obiezioni inaudite, perciò la storia domanda per il suo buon riuscimento taglie mostruose come quelle che il popolo russo è costretto a pagare. La rivoluzione russa ha trionfato finora di tutte le obiezioni della storia. Ha rivelato al popolo russo una aristocrazia di statisti che nessun'altra nazione possiede; sono un paio di migliaia di uomini che tutta la vita hanno dedicato allo studio (sperimentale) delle scienze politiche ed economiche, che durante decine d'anni d'esilio hanno analizzato e sviscerato tutti i problemi della rivoluzione, che nella lotta, nel duello impari contro la potenza dello zarismo, si sono temprati un carattere d'acciaio, che, vivendo a contato con tutte le forme della civiltà capitalistica d'Europa, d'Asia, d'America, immergendosi nelle correnti mondiali dei traffici e della storia, hanno acquistato una coscienza di responsabilità esatta e precisa, fredda e tagliente come la spada dei conquistatori d'imperi. 

I comunisti russi sono un ceto dirigente di primo ordine. Lenin si è rivelato, testimoni tutti quelli che lo hanno avvicinato, il più grande statista dell'Europa contemporanea; l'uomo che sprigiona il prestigio, che infiamma e disciplina i popoli; l'uomo che riesce, nel suo vasto cervello, a dominare tutte le energie sociali del mondo che possono essere rivolte a benefizio della rivoluzione; che tiene in iscacco e batte i più raffinati e volpisti statisti della routine borghese. Ma altro è la dottrina comunista, il partito politico che la propugna, la classe operaia che la incarna consapevolmente, e altro è l'immenso popolo russo, disfatto, disorganizzato, gettato in un cupo abisso di miseria, di barbarie, di anarchia, di dissoluzione da una guerra lunga e disastrosa. La grandezza politica, il capolavoro storico dei bolscevichi in ciò appunto consiste: nell'aver risollevato il gigante caduto, nell'aver ridato (o dato per la prima volta) una forma concreta e dinamica a questo sfacelo, a questo caos; nell'aver saputo saldare la dottrina comunista con la coscienza collettiva del popolo russo, nell'aver gettato le solide fondamenta sulle quali la società comunista ha iniziato il suo processo di sviluppo storico, nell'avere, in una parola, tradotto storicamente nella realtà sperimentale la formula marxista della dittatura del proletariato. La rivoluzione è tale e non una vuota gonfiezza della retorica demagogica, quando si incarna in un tipo di Stato, quando diventa un sistema organizzato del potere. 

Non esiste società se non in uno Stato, che è la sorgente e il fine di ogni diritto e di ogni dovere, che è garanzia di permanenza e di successo di ogni attività sociale. La rivoluzione proletaria è tale quando dà vita e s'incarna in uno Stato tipicamente proletario, custode del diritto proletario, che svolge le sue funzioni essenziali come emanazione della vita e della potenza proletaria. I bolscevichi hanno dato forma statale alle esperienze storiche della classe operaia e contadina internazionale; hanno sistemato in organismo complesso e agilmente articolato la sua vita più intima, la sua tradizione e la sua storia spirituale e sociale più profonda e amata. Hanno rotto col passato, ma hanno continuato il passato; hanno spezzato una tradizione, ma hanno sviluppato ed arricchito la tradizione vitale della classe proletaria, operaia e contadina. In ciò sono stati rivoluzionari, perciò hanno instaurato l'ordine e la disciplina nuovi. La rottura è irrevocabile, perché tocca l'essenziale della storia, è senza possibilità di ritorni indietro, che altrimenti un immane disastro piomberebbe sulla società russa. 

Ed ecco iniziarsi un formidabile duello con tutte le necessità della storia, dalle più elementari alle più complesse, che occorreva incorporare nel nuovo Stato proletario. Bisognava conquistare al nuovo Stato la maggioranza leale del popolo russo. Bisognava rivelare al popolo russo che il nuovo Stato era il suo Stato, la sua vita, il suo spirito, la sua tradizione, il suo patrimonio più prezioso. 

Lo Stato dei Soviet aveva un ceto dirigente, il Partito comunista bolscevico; aveva l'appoggio di una minoranza sociale rappresentante la consapevolezza di classe, degli interessi vitali e permanenti di tutta la classe, gli operai dell'industria. Esso è divenuto lo Stato di tutto il popolo russo e ciò ha ottenuto la tenace perseveranza del Partito comunista, la fede e la lealtà entusiastiche degli operai, l'assidua e incessante opera di propaganda, di rischiaramento, di educazione degli uomini eccezionali del comunismo russo, condotti dalla volontà chiara e rettilinea del maestro di tutti, Nicola Lenin. Il Soviet si è dimostrato immortale come la forma di società organizzata che aderisce plasticamente ai multiformi bisogni (economici e politici) permanenti e vitali della grande massa del popolo russo, che incarna e soddisfa le aspirazioni e le speranze di tutti gli oppressi del mondo. 

La guerra lunga e disgraziata aveva lasciato una triste eredità di miseria, di barbarie, di anarchia; l'organizzazione dei servizi sociali era sfatta; la compagine umana stessa si era ridotta a un'orda nomade di senza lavoro, senza volontà, senza disciplina, materia opaca di un'immensa decomposizione. Il nuovo Stato raccoglie dalle macerie i frantumi logori della società e li ricompone, li rinsalda: ricrea una fede, una disciplina, un'anima, una volontà di lavoro e di progresso. Compito che potrebbe essere gloria di un'intera generazione. Non basta. La storia non è contenta di questa prova. 

Nemici formidabili si drizzano implacabilmente contro il nuovo Stato. Si batte moneta falsa per corrompere il cittadino, si stuzzica il suo stomaco affamato. La Russia viene tagliata da ogni sbocco al mare, da ogni traffico, da ogni solidarietà: viene privata dell'Ucraina, del bacino del Donetz, della Siberia, di ogni mercato di materia prime e di viveri. Su un fronte di diecimila chilometri bande di armati minacciano l'invasione: sollevazioni, tradimenti, vandalismi, atti di terrorismo e sabotaggio vengono pagati. Le vittorie più clamorose si tramutano, per tradimento, in rovesci subitanei. Non importa. Il potere dei Soviet resiste: dal caos della disfatta crea un esercito potente che diviene la spina dorsale dello Stato proletario. Premuto da forze antagonistiche immani trova in sé il vigore intellettuale e la plasticità storica per adattarsi alla necessità della contingenza, senza snaturarsi, senza compromettere il felice processo di sviluppo verso il comunismo."

 

(ON, 7 giugno 1920)

“I bolscevichi hanno dato forma statale alle esperienze storiche e sociali del proletariato russo, che sono le esperienze della classe operaia e contadina internazionale; hanno sistemato in organismo complesso e agilmente articolato la sua vita più intima, la sua tradizione e la sua storia spirituale e sociale più profonda e amata. Hanno rotto col passato, ma hanno continuato il passato; hanno spezzato una tradizione, ma hanno sviluppato e arricchito una tradizione: hanno rotto col passato della storia dominato dalla classe possidente, hanno continuato, sviluppato, arricchito la tradizione vitale della classe proletaria, operaia e contadina. In ciò sono stati rivoluzionari, perciò hanno instaurato l'ordine e la disciplina nuovi.”

 

(ON, 7 giugno 1920)

“La Rivoluzione russa ha pagato la sua taglia alla storia, taglia di morte, di miseria, di fame, di sacrifizio, di volontà indomata. Oggi il duello arriva al suo culmine: il popolo russo si è levato tutto in piedi, gigante terribile nella sua magrezza ascetica, dominando la folla di pigmei che furiosamente l'aggrediscono.”

 

Q7 §2

Traducibilità dei linguaggi scientifici e filosofici. Nel 1921: quistioni di organizzazione. Vilici [Lenin] diffuse e scrisse: "non abbiamo saputo "tradurre" nelle lingue "europee" la nostra lingua".

 

Q7 §16

Guerra di posizione e guerra manovrata o frontale. E' da vedere se la famosa teoria di Bronstein [Trotki] sulla permanenza del movimento non sia il riflesso politico della teoria della guerra manovrata (ricordare osservazione del generale dei cosacchi Krasnov), in ultima analisi il riflesso delle condizioni generali- economiche-culturali-sociali di un paese in cui i quadri della vita nazionale sono embrionali e rilasciati e non possono diventare "trincea o fortezza". In questo caso si potrebbe dire che Bronstein, che appare come un "occidentalista" era invece un cosmopolita, cioè superficialmente nazionale e superficialmente occidentalista o europeo. Invece Ilici era profondamente nazionale e profondamente europeo. Bronstein nelle sue memorie ricorda che gli fu detto che la sua teoria si era dimostrata buona dopo... quindici anni e risponde all'epigramma con un altro epigramma. In realtà la sua teoria, come tale, non era buona né quindici anni prima né quindici anni dopo.