Partito

Q6 §136

Organizzazione delle società nazionali. Ho notato altra volta che in una determinata società nessuno è disorganizzato e senza partito, purché si intendano organizzazione e partito in senso largo e non formale. In questa molteplicità di società particolari, di carattere duplice, naturale e contrattuale o volontario, una o più prevalgono relativamente o assolutamente, costituendo l’apparato egemonico di un gruppo sociale sul resto della popolazione (o società civile), base dello Stato inteso strettamente come apparato governativo-coercitivo. Avviene sempre che le singole persone appartengano a più di una società particolare e spesso a società che essenzialmente sono in contrasto fra loro. Una politica totalitaria tende appunto: 

1) a ottenere che i membri di un determinato partito trovino in questo solo partito tutte le soddisfazioni che prima trovavano in una molteplicità di organizzazioni, cioè a rompere tutti i fili che legano questi membri ad organismi culturali estranei; 

2) a distruggere tutte le altre organizzazioni o a incorporarle in un sistema di cui il partito sia il solo regolatore. 

Ciò avviene: 

1) quando il partito dato è portatore di una nuova cultura e si ha una fase progressiva; 

2) quando il partito dato vuole impedire che un’altra forza, portatrice di una nuova cultura, diventi essa "totalitaria"; e si ha una fase regressiva e reazionaria oggettivamente, anche se la reazione (come sempre avviene) non confessi se stessa e cerchi di sembrare essa portatrice di una nuova cultura. 

 

Q7 §77

Una delle quistioni più importanti riguardo ai partiti politici è quella della loro "tempestività", o "tempismo", ossia del come essi reagiscono contro lo spirito di "consuetudine" e le tendenze a diventare anacronistici e mummificati. Praticamente i partiti nascono [come organizzazione] dopo avvenimenti storici importanti per il gruppi sociali rappresentati: ma essi non sanno sempre adattarsi alle nuove epoche o fasi storiche, non sanno svilupparsi secondo che si sviluppano i rapporti complessivi di forza [e quindi i rapporti relativi] nel paese determinato o nel campo internazionale. In questa ricerca occorre distinguere: il gruppo sociale; la massa del partito; la burocrazia o stato maggiore del partito. 

Quest’ultima è la forza consuetudinaria più pericolosa: se essa si organizza come corpo a sé, solidale e indipendente, il partito finisce con l’anacronizzarsi. Avvengono così le crisi dei partiti, che, qualche volta d’un tratto, perdono la loro base sociale storica e si trovano campati in aria: ciò è avvenuto in Germania specialmente con la espansione dell’hitlerismo. I partiti francesi sono i più utili per studiare  l’anacronizzarsi delle organizzazioni politiche: nati in conseguenza della Rivoluzione dell’89 e dei movimenti successivi essi ripetono una terminologia vieta, che permette ai dirigenti di mantenere la vecchia base pur facendo compromessi con forze affatto diverse e spesso contrarie e asservendosi alla plutocrazia.

 

Q9 §68

Nei partiti rappresentanti gruppi socialmente subalterni l’elemento di stabilità rappresenta la necessità organica di assicurare l’egemonia non a gruppi privilegiati: ma alle forze sociali progressive, organicamente progressive in confronto di altre forze alleate ma composte e oscillanti tra il vecchio e il nuovo. In ogni caso ciò che importa notare è che nelle manifestazioni di centralismo burocratico spesso la situazione si è formata per deficienza d’iniziativa, cioè per la primitività politica, delle forze periferiche, anche quando esse sono omogenee con il gruppo territoriale egemone. Specialmente negli organismi territoriali [internazionali] il formarsi di tali situazioni è estremamente dannoso e pericoloso. Il centralismo democratico è una formula elastica, che si presta a molte "incarnazioni"; essa vive in quanto è interpretata continuamente e continuamente adattata alle necessità: essa consiste nella ricerca critica di ciò che è uguale nell’apparente disformità e distinto e opposto nell’apparente uniformità, e nell’organizzare e connettere strettamente ciò che è simile, ma in modo che tale organizzazione e connessione appaia una necessità pratica "induttiva", sperimentale, e non il risultato di un procedimento razionalistico, deduttivo, astrattistico, cioè appunto proprio di intellettuali "puri".  
Questo lavorio continuo per sceverare l’elemento "internazionale" e "unitario" nella realtà nazionale e localistica è in realtà l’operazione politica concreta, l’attività sola produttiva di progresso storico. Essa richiede una organica unità tra teoria e pratica, tra strati intellettuali e massa, tra governanti e governati. Le formule di unità e federazione perdono gran parte del loro significato da questo punto di vista: esse invece hanno il loro veleno nella concezione "burocratica", per la quale in realtà non esiste unità ma palude stagnante superficialmente calma e "muta", e non federazione ma sacco di patate, cioè giustapposizione meccanica di "unità" singole senza rapporto tra loro.

 

Q9 §142

Nell’analisi dei partiti politici italiani si può vedere che essi sono stati sempre di "volontari", in un certo senso di declassés, e mai o quasi di "blocchi omogenei sociali". Un’eccezione è stata la "destra storica" cavourriana e quindi la sua superiorità organica e permanente sul Partito d’Azione mazziniano e garibaldino, che è stato il prototipo di tutti i partiti italiani di "massa", che non erano in realtà tali (cioè non contenevano blocchi omogenei sociali) ma attendamenti zingareschi e nomadi della politica.

 

Q11 §12

È da porre in rilievo l’importanza e il significato che hanno, nel mondo moderno, i partiti politici nell’elaborazione e diffusione delle concezioni del mondo in quanto essenzialmente elaborano l’etica e la politica conforme ad esse, cioè funzionano quasi da "sperimentatori" storici di esse concezioni. I partiti selezionano individualmente la massa operante e la selezione avviene sia nel campo pratico che in quello teorico congiuntamente, con un rapporto tanto più stretto tra teoria e pratica quanto più la concezione è vitalmente e radicalmente innovatrice e antagonistica dei vecchi modi di pensare. Perciò si può dire che i partiti sono gli elaboratori delle nuove intellettualità integrali e totalitarie, cioè il crogiolo dell’unificazione di teoria e pratica intesa come processo storico reale e si capisce come sia necessaria la formazione per adesione individuale e non del tipo "laburista" perché, se si tratta di dirigere organicamente "tutta la massa economicamente attiva" si tratta di dirigerla non secondo vecchi schemi ma innovando, e l’innovazione non può diventare di massa, nei suoi primi stadi, se non per il tramite di una élite in cui la concezione implicita nella umana attività sia già diventata in una certa misura coscienza attuale coerente e sistematica e volontà precisa e decisa.

 

Q12 §1

Cosa diventa il partito politico in ordine al problema degli intellettuali? Occorre fare alcune distinzioni:

1) per alcuni gruppi sociali il partito politico è niente altro che il modo proprio di elaborare la propria categoria di intellettuali organici, che si formano così e non possono non formarsi, dati i caratteri generali e le condizioni di formazione, di vita e di sviluppo del gruppo sociale dato, direttamente nel campo politico e filosofico e non già nel campo della tecnica produttiva (nel campo della tecnica produttiva si formano quegli strati che si può dire corrispondono ai "graduati di truppa" nell’esercito, cioè gli operai qualificati e specializzati in città e in modo più complesso i mezzadri e coloni in campagna, poiché il mezzadro e il colono in generale corrisponde piuttosto al tipo artigiano, che è l’operaio qualificato di una economia medioevale);

2) il partito politico, per tutti i gruppi, è appunto il meccanismo che nella società civile compie la stessa funzione che compie lo Stato in misura più vasta e più sinteticamente, nella società politica, cioè procura la saldatura tra intellettuali organici di un dato gruppo, quello dominante, e intellettuali tradizionali, e questa funzione il partito compie appunto in dipendenza della sua funzione fondamentale che è quella di elaborare i proprii componenti, elementi di un gruppo sociale nato e sviluppatosi come "economico", fino a farli diventare intellettuali politici qualificati, dirigenti, organizzatori di tutte le attività e le funzioni inerenti all’organico sviluppo di una società integrale, civile e politica.   Si può dire anzi che nel suo ambito il partito politico compia la sua funzione molto più compiutamente e organicamente di quanto lo Stato compia la sua in ambito più vasto: un intellettuale che entra a far parte del partito politico di un determinato gruppo sociale, si confonde con gli intellettuali organici del gruppo stesso, si lega strettamente al gruppo, ciò che non avviene attraverso la partecipazione alla vita statale che mediocremente e talvolta affatto. Anzi avviene che molti intellettuali pensino di essere lo Stato, credenza, che, data la massa imponente della categoria, ha talvolta conseguenze notevoli e porta a complicazioni spiacevoli per il gruppo fondamentale economico che realmente è lo Stato.

Che tutti i membri di un partito politico debbano essere considerati come intellettuali, ecco un’affermazione che può prestarsi allo scherzo e alla caricatura; pure, se si riflette, niente di più esatto. Sarà da fare distinzione di gradi, un partito potrà avere una maggiore o minore composizione del grado più alto o di quello più basso, non è ciò che importa: importa la funzione che è direttiva e organizzativa, cioè educativa, cioè intellettuale. Un commerciante non entra a far parte di un partito politico per fare del commercio, né un industriale per produrre di più e a costi diminuiti, né un contadino per apprendere nuovi metodi di coltivare la terra, anche se alcuni aspetti di queste esigenze del commerciante, dell’industriale, del contadino possono trovare soddisfazione nel partito politico (l’opinione generale contraddice a ciò, affermando che il commerciante, l’industriale, il contadino "politicanti" perdono invece di guadagnare, e sono i peggiori della loro categoria, ciò che può essere discusso).

 

Q13 §23

Osservazioni su alcuni aspetti della struttura dei partiti politici nei periodi di crisi organica […]. A un certo punto della loro vita storica i gruppi sociali si staccano dai loro partiti tradizionali, cioè i partiti tradizionali in quella data forma organizzativa, con quei determinati uomini che li costituiscono, li rappresentano e li dirigono non sono più riconosciuti come loro espressione dalla loro classe o frazione di classe. Quando queste crisi si verificano, la situazione immediata diventa delicata e pericola, perché il campo è aperto alle soluzioni di forza, all’attività di potenze oscure rappresentate dagli uomini provvidenziali o carismatici.

Come si formano queste situazioni di contrasto tra rappresentanti e rappresentati, che dal terreno dei partiti (organizzazioni di partito in senso stretto, campo elettorale-parlamentare, organizzazione giornalistica) si riflette in tutto l’organismo statale, rafforzando la posizione relativa del potere della burocrazia (civile e militare), dell’alta finanza, della Chiesa e in generale di tutti gli organismi relativamente indipendenti dalle fluttuazioni dell’opinione pubblica? In ogni paese il processo è diverso, sebbene il contenuto sia lo stesso. E il contenuto è la crisi di egemonia della classe dirigente, che avviene o perché la classe dirigente ha fallito in qualche sua grande impresa politica per cui ha domandato o imposto con la forza il consenso delle grandi masse (come la guerra) o perché vaste masse (specialmente di contadini e di piccoli borghesi intellettuali) sono passati di colpo dalla passività politica a una certa attività e pongono rivendicazioni che nel loro complesso disorganico costituiscono una rivoluzione.

Si parla di "crisi di autorità" e ciò appunto è la crisi di egemonia, o crisi dello Stato nel suo complesso. La crisi crea situazioni immediate pericolose, perché i diversi strati della popolazione non possiedono la stessa capacità di orientarsi rapidamente e di riorganizzarsi con lo stesso ritmo. La classe tradizionale dirigente, che ha un numeroso personale addestrato, muta uomini e programmi e riassorbe il controllo che le andava sfuggendo con una celerità  maggiore di quanto avvenga nelle classi subalterne; fa magari dei sacrifizi, si espone a un avvenire oscuro con promesse demagogiche, ma mantiene il potere, lo rafforza per il momento e se ne serve per schiacciare l’avversario e disperderne il personale di direzione, che non può essere molto numeroso e molto addestrato. Il passaggio delle truppe di molti partiti sotto la bandiera di un partito unico che meglio rappresenta e riassume i bisogni dell’intera classe è un fenomeno organico e normale, anche se il suo ritmo sia rapidissimo e quasi fulmineo in confronto di tempi tranquilli: rappresenta la fusione di un intero gruppo sociale sotto un’unica direzione ritenuta sola capace di risolvere un problema dominante esistenziale e allontanare un pericolo mortale. Quando la crisi non trova questa soluzione organica, ma quella del capo carismatico, significa che esiste un equilibrio statico (i cui fattori possono essere disparati, ma in cui prevale l’immaturità delle forze progressive) che nessun gruppo, nè quello conservativo nè quello progressivo, ha la forza necessaria alla vittoria e che anche il gruppo conservativo ha bisogno di un padrone (cfr Il 18 brumaio di Luigi Napoleone). 

Questo ordine di fenomeni è connesso a una delle quistioni più importanti che riguardano il partito politico, e cioè alla capacità  del partito di reagire contro lo spirito di consuetudine, contro le tendenze a mummificarsi e a diventare anacronistico. I partiti nascono e si costituiscono in organizzazione per dirigere la situazione in momenti storicamente vitali per le loro classi; ma non sempre essi sanno adattarsi ai nuovi compiti e alle nuove epoche, non sempre sanno svilupparsi secondo che si sviluppano i rapporti complessivi di forza (e quindi posizione relativa delle loro classi) nel paese determinato o nel campo internazionale.

 

Q15 §4

Nel formare i dirigenti è fondamentale la premessa: si vuole che ci siano sempre governati e governanti oppure si vogliono creare le condizioni in cui la necessità dell’esistenza di questa divisione sparisca? cioè si parte dalla premessa della perpetua divisione del genere umano o si crede che essa sia solo un fatto storico, rispondente a certe condizioni?  

Occorre tener chiaro tuttavia che la divisione di governati e governanti, seppure in ultima analisi risalga a una divisione di gruppi sociali, tuttavia esiste, date le cose così come sono, anche nel seno dello stesso gruppo, anche socialmente omogeneo; in un certo senso si può dire che essa divisione è una creazione della divisione del lavoro, è un fatto tecnico. 

Dato che anche nello stesso gruppo esiste la divisione tra governanti e governati, occorre fissare alcuni principii inderogabili, ed è anzi su questo terreno che avvengono gli "errori" più gravi, che cioè si manifestano le incapacità più criminali, ma più difficili a raddrizzare. Si crede che essendo posto il principio dallo stesso gruppo, l’obbedienza debba essere automatica, debba avvenire senza bisogno di una dimostrazione di "necessità" e razionalità  non solo, ma sia indiscutibile (qualcuno pensa e, ciò che è peggio, opera secondo questo pensiero, che l’obbedienza "verrà" senza essere domandata, senza che la via da seguire sia indicata).

Così è difficile estirpare dai dirigenti il "cadornismo", cioè la persuasione che una cosa sarà fatta perché il dirigente ritiene giusto e razionale che sia fatta: se non viene fatta, "la colpa" viene riversata su chi "avrebbe dovuto" ecc. Così è difficile estirpare la abitudine criminale di trascurare di evitare i sacrifizi inutili. Eppure il senso comune mostra che la maggior parte dei disastri collettivi (politici) avvengono perché non si è cercato di evitare il sacrifizio inutile, o si è mostrato di non tener conto del sacrifizio altrui e si è giocato con la pelle altrui. 

Ognuno ha sentito raccontare da ufficiali del fronte come realmente i soldati arrischiassero la vita quando ciò era necessario, ma come invece si ribellassero quando si vedevano trascurati. Per esempio: una compagnia era capace di digiunare molti giorni perché vedeva che i viveri non potevano giungere per forza maggiore, ma si ammutinava se un pasto solo era saltato per la trascuratezza o il burocratismo ecc. Questo principio si estende a tutte le azioni che domandano sacrifizio. Per cui sempre, dopo ogni rovescio, occorre prima di tutto ricercare le responsabilità  dei dirigenti e ciò in senso stretto (per esempio: un fronte è costituito di più sezioni e ogni sezione ha i suoi dirigenti: è possibile che di una sconfitta siano più responsabili i dirigenti di una sezione che di un’altra, ma si tratta di più e meno, non di esclusione di responsabilità per alcuno, mai). 

Posto il principio che esistono diretti e dirigenti, governati e governanti, è vero che i partiti sono finora il modo più adeguato per elaborare i dirigenti e la capacità di direzione (i "partiti" possono presentarsi sotto i nomi più diversi, anche quello di anti-partito e di "negazione dei partiti"; in realtà  anche i così detti "individualisti" sono uomini di partito, solo che vorrebbero essere "capipartito" per grazia di dio o dell’imbecillità  di chi li segue).

 

Q17 §51

Nel mondo moderno, un partito è tale, integralmente e non, come avviene, frazione di un partito più grande, quando esso è concepito, organizzato e diretto in modi e forme tali da svilupparsi integralmente in uno Stato (integrale, e non in un governo tecnicamente inteso) e in una concezione del mondo. Lo sviluppo del partito in Stato reagisce sul partito e ne domanda una continua riorganizzazione e sviluppo, così come lo sviluppo del partito e dello Stato in concezione del mondo, cioè in trasformazione totale e molecolare (individuale) dei modi di pensare e operare, reagisce sullo Stato e sul partito, costringendoli a riorganizzarsi continuamente e ponendo loro dei problemi nuovi e originali da risolvere. È evidente che tale concezione è intralciata nello sviluppo pratico dal fanatismo cieco e unilaterale di "partito" (in questo caso di setta, di frazione di un più ampio partito, nel cui seno si lotta), cioè dall’assenza sia di una concezione statale sia di una concezione del mondo che siano capaci di sviluppo in quanto storicamente necessarie. La vita politica attuale dà una larga testimonianza di queste angustie e ristrettezze mentali, che d’altronde provocano lotte drammatiche, perché esse stesse sono il modo con cui lo sviluppo storico si verifica praticamente.