Notazioni varie

(AV, 22 marzo 1917)

“Perché […] gli spettatori, i cavalieri e le dame che l'altra sera hanno visto svilupparsi, sicuro, necessario, umanamente necessario, il dramma spirituale di Nora Helmar [Casa di bambole di Ibsen, interpretata al teatro Carignano di Torino da Emma Gramatica nel marzo del 1917 n.d.c], non hanno a un certo punto vibrato simpaticamente con la sua anima, ma sono rimasti sbalorditi e quasi disgustati della conclusione? Sono immorali questi cavalieri e queste dame, o è immorale l'umanità di Enrico Ibsen?

Né l'una cosa né l'altra. E avvenuta semplicemente una rivolta del nostro costume alla morale più spiritualmente umana. E avvenuta semplicemente una rivolta del nostro costume (e voglio dire del costume che è la vita del pubblico italiano), che è abito morale tradizionale della nostra borghesia grossa e piccina, fatto in gran parte di schiavitù, di sottomissione all'ambiente, di ipocrita mascheratura dell'animale uomo, fascio di nervi e di muscoli inguainati nella epidermide voluttuosamente pruriginosa, a un altro costume, a un'altra tradizione, superiore, più spirituale, meno animalesca. Un altro costume, per il quale la donna e l'uomo non sono più soltanto muscoli, nervi ed epidermide, ma sono essenzialmente spirito; per il quale la famiglia non è più solo un istituto economico, ma è specialmente un mondo morale in atto, che si completa per l'intima fusione di due anime che ritrovano l'una nell'altra ciò che manca a ciascuna individualmente: per il quale la donna non è più solamente la femmina che nutre di sé i piccoli nati e sente per essi un amore che è fatto di spasimi della carne e di tuffi di sangue, ma è una creatura umana a sé, che ha una coscienza a sé, che ha dei bisogni interiori suoi, che ha una personalità umana tutta sua e una dignità di essere indipendente.

Il costume della borghesia latina grossa e piccola si rivolta, non comprende un mondo così fatto. L'unica forma di liberazione femminile che è consentito comprendere al nostro costume, è quella della donna che diventa cocotte. La pochade è davvero l'unica azione drammatica femminile che il nostro costume comprenda; il raggiungimento della libertà fisiologica e sessuale. Non si esce fuori dal circolo morto dei nervi, dei muscoli e dell'epidermide sensibile...

La donna dei nostri paesi, la donna che ha una storia, la donna della famiglia borghese, rimane come prima la schiava, senza profondità di vita morale, senza bisogni spirituali, sottomessa anche quando sembra ribelle, più schiava ancora quando ritrova l'unica libertà che le è consentita, la libertà della galanteria. Rimane la femmina che nutre di sé i piccoli nati, la bambola più cara quanto è più stupida, più diletta ed esaltata quanto più rinunzia a se stessa, ai doveri che dovrebbe avere verso se stessa, per dedicarsi agli altri, siano questi altri i suoi familiari, siano gli infermi, i detriti d'umanità che la beneficenza raccoglie e soccorre maternamente. L'ipocrisia del sacrifizio benefico è un'altra del¬le apparenze di questa inferiorità interiore del nostro costume. Nostro costume. Cioè costume che ha importanza nella storia attuale, perché è il costume della classe che è della storia stessa protagonista. Ma accanto ad esso è un altro costume in formazione, quello che è più nostro, perché è della classe cui apparteniamo noi. Costume nuovo? Semplicemente costume che si identifica meglio con la morale universale, che aderisce tutto alla morale universale, tale perché profondamente umana, perché fatta di spiritualità più che di animalità, di anima più che di economia o di nervi e muscoli. Le cocottes potenziali non possono comprendere il dramma di Nora Helmar. Lo possono comprendere, perché lo vivono quotidianamente, le donne del proletariato, le donne che lavorano, quelle che producono qualcosa di più che non siano i pezzi d'umanità nuova e i brividi voluttuosi del piacere sessuale.”

 

(CF, cit.)

“Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l'attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini.” (CF, cit.)

“Lo sforzo fatto per conquistare una verità, fa apparire un po' come propria la verità stessa, anche se alla sua nuova enunciazione non si è aggiunto nulla di veramente proprio, non s'è data neppure una lieve colorazione personale. Ecco perché spesso si plagiano gli altri inconsciamente, e si rimane disillusi per la freddezza con cui vengono accolte affermazioni che riputavamo capaci di scuotere, di entusiasmare. Amico mio, ci ripetiamo sconsolatamente, il tuo era l'uovo di Colombo. Ebbene, non mi importa di essere lo scopritore dell'uovo di Colombo. Preferisco ripetere una verità già conosciuta al cincischiarmi l'intelligenza per fabbricare paradossi brillanti, spiritosi giochi di parole, acrobatismi verbali, che fanno sorridere, ma non fanno pensare.”

 

(CF, cit.)

“Quando discuti con un avversario, prova a metterti nei suoi panni. Lo comprenderai meglio e forse finirai con l'accorgerti che ha un po', o molto, di ragione. Ho seguito per qualche tempo questo consiglio dei saggi. Ma i panni dei miei avversari erano così sudici che ho concluso: è meglio essere ingiusto qualche volta che provare di nuovo questo schifo che fa svenire.”

 

(CF, cit.)

“E’ immensa la forza che la tradizione esercita sugli animi… Chi si è convertito, è sempre un relativista. Ha esperimentato in se stesso una volta quanto sia facile sbagliarsi nello scegliere la propria via. Pertanto gliene rimane un fondo di scetticismo. Chi è scettico non ha il coraggio necessario per l'azione.”

 

(Av)

“Gli avvenimenti non dipendono dall'arbitrio di un singolo, e neppure da quello di un gruppo anche numeroso: dipendono dalle volontà di molti, le quali si rivelano dal fare o non fare certi atti e dagli atteggiamenti spirituali corrispondenti, e dipendono dalla consapevolezza che una minoranza ha di queste volontà, e dal saperli più o meno rivolgere a un fine comune dopo averle inquadrate nei poteri dello Stato.”

 

(AV, 25 luglio 1918)

“Perché gli individui, nella loro maggioranza, compiono solo determinati atti? Perché essi non hanno altro fine sociale che la conservazione della propria integrità fisiologica e morale: così è che si adattano alle circostanze, ripetono meccanicamente alcuni gesti i quali, per la esperienza propria o per l'educazione ricevuta (risultato delle esperienze altrui), si sono dimostrati idonei a raggiungere il fine voluto: poter vivere. Questa rassomiglianza di atti della maggioranza produce una somiglianza di effetti, dà all'attività economica una certa struttura: nasce il concetto di legge. Solo il perseguire un fine maggiore corrode questo adattamento all'ambiente: se il fine umano non è più il puro vivere, ma il vivere qualificato, si compiono degli sforzi maggiori, e a seconda della diffusione del fine umano superiore si riesce a trasformare l'ambiente, si instaurano nuove gerarchie, diverse da quelle esistenti per regolare i rapporti tra i singoli e lo Stato, tendenti a sostituirsi permanentemente a queste per la realizzazione diffusa del fine umano superiore.”

 

(ON, 27 settembre 1919)

“La legge essenziale dell'uomo è il ritmo della libertà, la storia del genere umano è un processo ininterrotto e indefinito di liberazione. Ma la libertà non è qualcosa di fisso, di immutabile nel tempo e nello spazio. Individualmente la libertà è un rapporto di pensiero, condizionato dalla cultura dell'individuo: tanto più uno è libero quanto più è «ricco» di sapienza e di saggezza, quanto più grande è il «patrimonio» suo di esperienze storiche e spirituali, quanto maggior ordine esiste nei suoi pensieri, quanto più perfetta è la sua organizzazione interiore. Individualmente quindi il processo di sviluppo della libertà coincide col processo di sviluppo della cultura individuale”

 

Q1 §33

La diffusione della psicologia freudiana pare che dia come risultato la nascita di una letteratura tipo 700; al "selvaggio", in una forma moderna, si sostituisce il tipo freudiano. La lotta contro l'ordine giuridico viene fatta attraverso l'analisi psicologica freudiana. Questo è un aspetto della quistione, a quanto pare. Non ho potuto studiare le teorie di Freud e non conosco l'altro tipo di letteratura così detta "freudiana" Proust-Svevo-Joyce.

 

Q1 §62

Ossessione della quistione sessuale. "Pericoli" di questa ossessione. Tutti i "progettisti" risolvono la quistione sessuale. Notare come nelle "utopie" la quistione sessuale abbia larghissima parte, spesso prevalente […]. Gli istinti sessuali sono quelli che hanno subito la maggiore "repressione" da parte della società in sviluppo. Il loro "regolamento" sembra il più "innaturale", quindi più frequenti in questo campo i richiami alla "natura". La letteratura "freudistica" ha creato un nuovo tipo di "selvaggio" settecentesco sulla base "sessuale" (inclusi i rapporti tra padri e figli)… La sessualità come funzione riproduttiva e come "sport": ideale estetico femminile da riproduttrice a ninnolo; ma non è solo in città che la sessualità è diventata uno "sport"; i proverbi popolari -- l'uomo è cacciatore, la donna è tentatrice; chi non ha di meglio, va a letto con la moglie -- mostrano la diffusione dello "sport". La funzione "economica" della riproduzione non è solo legata al mondo economico produttivo, è anche interna; "il bastone della vecchiaia" mostra la coscienza istintiva del bisogno "economico" che ci sia un certo rapporto tra giovani e vecchi, tra lavoratori attivi e parte passiva della popolazione: lo spettacolo di come sono bistrattati nei villaggi i vecchi e le vecchie senza figliolanza spinge le coppie a desiderare figli; i vecchi senza figli sono trattati come i "bastardi". I progressi dell'igiene pubblica che hanno elevato le medie della vita umana pongono sempre più la quistione sessuale come una "quistione economica" a sé stante, che pone dei problemi coordinati del tipo di superstruttura… La bassa natalità domanda una continua spesa di apprendissaggio e porta con sé un continuo mutarsi della composizione sociale: politica delle città, ponendo quindi anche un problema di egemonia.  La quistione più importante è la salvaguardia della personalità femminile: finché la donna non abbia veramente raggiunto una indipendenza di fronte all'uomo, la quistione sessuale sarà ricca di caratteri morbosi e bisognerà esser cauti nel trattarla e nel trarre conclusioni legislative. L'abolizione della prostituzione legale porterà con sé già molte difficoltà: oltre allo sfrenamento che succede a ogni crisi di compressione. Lavoro e sessualità. E' interessante come gli industriali americani si interessino delle relazioni sessuali dei loro dipendenti: la mentalità puritana vela però una necessità evidente: non può esserci lavoro intenso produttivo senza una regolamentazione dell'istinto sessuale.

 

Q3 §73

In Italia ci sono due lingue: l’italiano e il dialetto regionale e nella vita famigliare si adopera il dialetto: l’italiano, in gran parte, è un esperanto, cioè una lingua parziale ecc. Quando si afferma la grande ricchezza espressiva dell’italiano si cade in un equivoco: si confonde la ricchezza espressiva registrata nel vocabolario o contenuta inerte nella letteratura stampata, con la ricchezza individuale che si può spendere individualmente. Quest’ultima conta, specialmente in certi casi: per misurare il grado di unità linguistica nazionale, per esempio, che non è dato dal vocabolario ma dalla vivente parlata del popolo. Nel dialogo teatrale è evidente l’importanza di questo elemento: il dialogo dal palcoscenico deve suggerire immagini viventi, in tutta la loro concretezza storica, invece suggerisce, in gran parte, immagini libresche. Le parole della parlata famigliare si riproducono nell’ascoltatore come ricordo di parole lette nei libri o nei giornali e ricercate nel vocabolario, come sarebbe il francese in teatro ascoltato da uno che il francese ha imparato sui libri senza maestro: la parola è ossificata, senza articolazioni di sfumature, senza la comprensione del suo significato esatto che è dato da tutto il periodo ecc. Si ha l’impressione di essere goffi, o che goffi siano gli altri. Si osservi nell’italiano parlato quanti errori di pronunzia fa l’uomo del popolo: profègo, rosèo, ecc., ciò che significa che le parole italiane le ha lette, non sentite e non sentite ripetutamente, cioè collocate in periodi diversi, ognuno dei quali abbia fatto brillare una sfaccettatura di quel poliedro che è ogni parola.

 

Q6 §134

Il romanzo d’appendice sostituisce (e favorisce nel tempo stesso) il fantasticare dell’uomo del popolo, è un vero sognare ad occhi aperti. Si può vedere ciò che sostengono Freud e i psicanalisti sul sognare ad occhi aperti. In questo caso si può dire che nel popolo il fantasticare è dipendente dal "complesso di inferiorità" (sociale) che determina lunghe fantasticherie sull’idea di vendetta, di punizione dei colpevoli dei mali sopportati, ecc. Nel Conte di Montecristo ci sono tutti gli elementi per cullare queste fantasticherie e per quindi propinare un narcotico che attutisca il senso del male, ecc.

 

Q7 §12

Il proverbio latino: "Senatores boni viri, senatus mala bestia" è diventato un luogo comune. Cosa significa questo proverbio e quale significato ha assunto? Che una folla di persone dominate dagli interessi immediati o in preda alla passione suscitata dalle impressioni del momento trasmesse acriticamente di bocca in bocca, si unifica nella decisione collettiva peggiore, che corrisponde ai più bassi istinti bestiali. L’osservazione è giusta e realistica in quanto si riferisce alle folle casuali, raccoltesi come "una moltitudine durante un acquazzone sotto una tettoia", composte di uomini che non sono legati da vincoli di responsabilità verso altri uomini o gruppi di uomini o verso una realtà economica concreta, il cui sfacelo si ripercuota nel disastro degli individui. Si può dire perciò che in tali folle l’individualismo non solo non è superato ma è esasperato per la certezza dell’impunità e della irresponsabilità. 

È però anche osservazione comune che un’assemblea "bene ordinata" di elementi riottosi e indisciplinati si unifica in decisioni collettive superiori alla media individuale: la quantità diventa qualità. Se così non fosse, non sarebbe possibile l’esercito, per esempio non sarebbero possibili i sacrifizi inauditi che gruppi umani ben disciplinati sanno compiere in determinate occasioni, quando il loro senso di responsabilità sociale è svegliato fortemente dal senso immediato del pericolo comune e l’avvenire appare più importante del presente. Si può far l’esempio di un comizio in piazza che è diverso da un comizio in sala chiusa ed è diverso da un comizio sindacale di categoria professionale e così via. Una seduta di ufficiali di stato Maggiore sarà ben diversa da un’assemblea di soldati di un plotone ecc.

 

Q8 §158

La tendenza a diminuire l’avversario. Mi pare che tale tendenza di per se stessa sia un documento della inferiorità di chi ne è posseduto. Si cerca infatti di diminuire l’avversario per poter credere di esserne vittoriosi: quindi in tale tendenza è anche istintivamente un giudizio sulla propria incapacità e debolezza, ossia un inizio di autocritica, che si vergogna di se stessa, che ha paura di manifestarsi esplicitamente e con coerenza sistematica, perché si crede nella "volontà di credere" come condizione di vittoria, ciò che non sarebbe inesatto se non fosse concepito meccanicamente e non diventasse un autoinganno (contiene una indebita confusione tra massa e capi e finisce coll’abbassare la funzione del capo al livello della funzione del più arretrato e incondito gregario).  Un elemento di tale tendenza è di natura oppiacea: è proprio dei deboli abbandonarsi alla fantasticheria, sognare a occhi aperti che i propri desideri sono realtà, che tutto si svolge secondo essi: da una parte l’incapacità, la stupidaggine, la barbarie, la paurosità, dall’altra le più alte doti di carattere e di intelligenza: la lotta non dovrebbe essere dubbia e già pare di tenere in pugno la vittoria. La lotta rimane lotta sognata e vinta in sogno: nella realtà, da dovunque si cominci ad operare, le difficoltà appaiono gravi, e siccome si deve cominciare sempre necessariamente da piccole cose (poiché, per lo più, le grandi cose sono un insieme di piccole cose), viene a sdegno la "piccola cosa": È meglio continuare a sognare e rimandare tutto al momento della "grande cosa".   La funzione di sentinella è gravosa, noiosa, defatigante; perché "sprecare" così la forza umana e non conservarla invece per la grande battaglia eroica? e così via. Non si riflette poi che se l’avversario ti domina e tu lo diminuisci, riconosci di essere dominato da uno che consideri inferiore? Ma come è riuscito a dominarti? Come mai ti ha vinto ed è stato superiore a te proprio in quell’attimo decisivo che doveva dare la misura della tua superiorità e della sua inferiorità? Ci sarà stata di mezzo la "coda del diavolo". Ebbene, impara ad avere la coda del diavolo dalla tua parte.

 

Q9 §130

Ottimismo e pessimismo. È da osservare che l’ottimismo non è altro, molto spesso, che un modo di difendere la propria pigrizia, le proprie irresponsabilità, la volontà di non far nulla. È anche una forma di fatalismo e di meccanicismo. Si conta sui fattori estranei alla propria volontà ed operosità, li si esalta, pare che si bruci di un sacro entusiasmo. E l’entusiasmo non è che esteriore adorazione di feticci. Reazione necessaria, che deve avere per punto di partenza l’intelligenza. Il solo entusiasmo giustificabile è quello che accompagna la volontà intelligente, l’operosità intelligente, la ricchezza inventiva in iniziative concrete che modificano la realtà esistente.

 

Q9 §131

L’attuale generazione ha una strana forma di autocoscienza ed esercita su di sé una strana forma di autocritica. Ha la coscienza di essere una generazione di transizione, o meglio ancora, crede di sé di essere qualcosa come una donna incinta: crede di stare per partorire e aspetta che nasca un grande figliolo. Si legge spesso che "si è in attesa di un Cristoforo Colombo che scoprirà una nuova America dell’arte, della civiltà, del costume". Si è letto anche che noi viviamo in un’epoca pre-dantesca: si aspetta il Dante novello che sintetizzi potentemente il vecchio e il nuovo e dia al nuovo lo slancio vitale.   Questo modo di pensare, ricorrendo a immagini [mitiche] prese dallo sviluppo storico passato è dei più curiosi e interessanti per comprendere il presente, la sua vuotezza, la sua disoccupazione intellettuale e morale. Si tratta di una forma di "senno del poi" delle più strabilianti. In realtà, con tutte le professioni di fede spiritualistiche e volontaristiche, storicistiche [e dialettiche] ecc., il pensiero che domina è quello evoluzionistico volgare, fatalistico, positivistico.   Si potrebbe porre così la quistione: ogni "ghianda" può pensare di diventar quercia. Se le ghiande avessero una ideologia, questa sarebbe appunto di sentirsi "gravide" di querce. Ma, nella realtà, il 999 per mille delle ghiande servono di pasto ai maiali e, al più, contribuiscono a crear salsicciotti e mortadella.

 

Q15 §9

Note autobiografiche. Come ho cominciato a giudicare con maggiore indulgenza le catastrofi del carattere. Per esperienza del processo attraverso cui tali catastrofi avvengono. Nessuna indulgenza per chi compie un atto contrario ai suoi principii "repentinamente" e intendo repentinamente in questo senso: per non aver pensato che il rimaner fermi in certi principii avrebbe procurato sofferenze e non averle prevedute. Chi, trovatosi d’un tratto dinanzi alla sofferenza, prima ancora di soffrirla o all’inizio della sofferenza, muta atteggiamento, non merita indulgenza. Ma il caso si pone in forme complesse.  È strano che di solito si sia meno indulgenti coi mutamenti "molecolari" che con quelli repentini. Ora il movimento "molecolare" è il più pericoloso, ché, mentre dimostra nel soggetto la volontà di resistere, "fa intravedere" (a chi riflette) un mutamento progressivo della personalità morale che a un certo punto da quantitativo diventa qualitativo: cioè non si tratta più in verità, della stessa persona, ma di due. (S’intende che "indulgenza" non significa altro che mancanza di filisteismo morale, non già che non si tenga conto del mutamento e non si sanzioni; la mancanza di sanzione significherebbe "glorificazione" o per lo meno "indifferenza" al fatto e ciò non permetterebbe di distinguere la necessità  e la non necessità, la forza maggiore e la vigliaccheria). Si è formato il principio che un capitano non debba abbandonare la nave naufragata che per ultimo, quando tutti si sono salvati, anzi si giunge in alcuni ad affermare che in tali casi il capitano "deve" ammazzarsi.

Queste affermazioni sono meno irrazionali di quanto potrebbe sembrare. Certo non è escluso che non ci sia nulla di male a che un capitano si salvi per il primo.   Ma se questa constatazione diventasse un principio, quale garanzia si avrebbe che il capitano ha fatto di tutto: 1) perché il naufragio non avvenga; 2) perché, avvenuto, tutto è stato fatto per ridurre al minimo i danni delle persone e delle cose? (danni delle cose significa poi danno futuro delle persone). Solo il principio, divenuto "assoluto", che il capitano, in caso di naufragio, abbandona per ultimo la nave e anzi muore con essa, dà questa garanzia, senza cui la vita collettiva è impossibile, cioè nessuno prenderebbe impegni e opererebbe abbandonando ad altri la propria sicurezza personale. La vita moderna è fatta in gran parte di questi stati d’animo o "credenze" forti come i fatti materiali. La sanzione di questi mutamenti, per tornare all’argomento, è un fatto politico, non morale, dipende non da un giudizio morale, ma da uno di "necessità" per l’avvenire, nel senso che se così non si facesse, danni maggiori potrebbero venire: in politica è giusta una "ingiustizia" piccola per evitarne una più grande ecc. Dico che è "moralmente" più giustificabile chi si modifica "molecolarmente" (per forza maggiore, s’intende) che chi si modifica d’un tratto, sebbene di solito si ragioni diversamente. Si sente dire: "Ha resistito per cinque anni, perché non per sei? Poteva resistere un altro anno e trionfare". Intanto in questo caso si tratta del senno di poi, perché al quinto anno il soggetto non sapeva che "solo" un altro anno di sofferenze lo aspettava. Ma a parte questo: la verità è che l’uomo del quinto anno non è quello del quarto, del terzo, del secondo, del primo ecc.; è una nuova personalità, completamente nuova, nella quale gli anni trascorsi hanno appunto demolito i freni morali, le forze di resistenza che caratterizzavano l’uomo del primo anno. Un esempio tipico è quello del cannibalismo.

Si può dire che al livello attuale della civiltà, il cannibalismo ripugna talmente che una persona comune è da credere quando dice: - messo al bivio di essere cannibale, mi ammazzerei. Nella realtà, quella stessa persona, se dovesse trovarsi dinanzi al bivio: "essere cannibale o ammazzarsi" non ragionerebbe più così, perché sarebbero avvenute tali modificazioni nel suo io, che l’"ammazzarsi" non si presenterebbe più come alternativa necessaria: egli diventerebbe cannibale senza pensare per nulla ad ammazzarsi. Se Tizio, nel pieno delle sue forze fisiche e morali viene messo al bivio, c’è una probabilità  che s’ammazzi (dopo essersi persuaso che non si tratta di una commedia ma di cosa reale, di alternativa seria); ma questa probabilità  non esiste più (o almeno diminuisce molto) se Tizio si trova al bivio dopo aver subito un processo molecolare in cui le sue forze fisiche e morali sono andate distrutte, ecc. Così vediamo uomini normalmente pacifici, dare in scoppi repentini di ira e ferocia.   Non c’è, in realtà, niente di repentino: c’è stato un processo "invisibile" [e molecolare] in cui le forze morali che rendevano "pacifico" quell’uomo, si sono dissolte. Questo fatto da individuale può essere considerato collettivo (si parla allora della "goccia che ha fatto traboccare il vaso" ecc.).

Il dramma di tali persone consiste in ciò: Tizio prevede il processo di disfacimento, cioè prevede che diventerà... cannibale, e pensa: se ciò avverrà, a un certo punto [del processo] mi ammazzo. Ma questo "punto" quale sarà? In realtà ognuno fida nelle sue forze e spera nei casi nuovi che lo tolgano dalla situazione data. E così avviene che (salvo eccezioni) la maggior parte si trova in pieno processo di trasformazione oltre quel punto in cui le sue forze ancora erano capaci di reagire sia pure secondo l’alternativa del suicidio. Questo fatto è da studiare nelle sue manifestazioni odierne. Non che il fatto non si sia verificato nel passato, ma è certo che nel presente ha assunto una sua forma speciale e... volontaria. Cioè oggi si conta che esso avvenga e l’evento viene preparato sistematicamente, ciò che nel passato non avveniva (sistematicamente vuol dire però "in massa" senza escludere naturalmente le particolari "attenzioni" ai singoli).   È certo che oggi si è infiltrato un elemento "terroristico" che non esisteva nel passato, di terrorismo materiale e anche morale, che non è sprezzabile. Ciò aggrava la responsabilità di coloro che, potendo, non hanno, per imperizia, negligenza, o anche volontà  perversa, impedito che certe prove fossero passate. [Contro questo modo di vedere antimoralistico c’è la concezione falsamente eroica, retorica, fraseologica, contro la quale ogni sforzo di lotta è poco].

 

Q22 §3

La quistione etico-civile più importante legata alla quistione sessuale è quella della formazione di una nuova personalità femminile: finchè la donna non avrà raggiunto non solo una reale indipendenza di fronte all’uomo, ma anche un nuovo modo di concepire se stessa e la sua parte nei rapporti sessuali, la quistione sessuale rimarrà ricca di caratteri morbosi e occorrerà esser cauti in ogni innovazione legislativa. Ogni crisi di coercizione unilaterale nel campo sessuale porta con sé a uno sfrenamento "romantico" che può essere aggravato dall’abolizione della prostituzione legale e organizzata.