Comunismo

 

(ON, numero 3, gennaio 1920)

"La borghesia settentrionale ha soggiogato l'Italia meridionale e le isole e le ha ridotte a colonie di sfruttamento; il proletariato settentrionale, emancipando se stesso dalla schiavitù capitalistica, emanciperà le masse contadine meridionali asservite alla banca e all'industrialismo parassitario del settentrione. La rigenerazione economica e politica dei contadini non deve essere ricercata in una divisione delle terre incolte e mal coltivate, ma nella solidarietà del proletariato industriale, che ha bisogno, a sua volta, della solidarietà dei contadini, che ha interesse acche il capitalismo non rinasca economicamente dalla proprietà terriera e ha interesse acche l'Italia meridionale e le isole non diventino una base militare di controrivoluzione capitalistica. Imponendo il controllo operaio sull'industria, il proletariato rivolgerà l'industria alla produzione di macchine agricole per i contadini, di stoffe e calzature per i contadini, di energia elettrica per i contadini; impedirà che più oltre l'industria e la banca sfruttino i contadini e li soggioghino come schiavi alle loro casseforti. Spezzando l'autocrazia nella fabbrica, spezzando l'apparato oppressivo dello Stato capitalistico, instaurando lo Stato operaio che soggioghi i capitalisti alla legge del lavoro utile, gli operai spezzeranno tutte le catene che tengono avvinghiato il contadino alla sua miseria, alla sua disperazione; instaurando la dittatura operaia, avendo in mano le industrie e le banche, il proletariato rivolgerà l'enorme potenza dell'organizzazione statale per sostenere i contadini nella loro lotta contro i proprietari, contro la natura, contro la miseria; darà il credito ai contadini, instituirà le cooperative, garantirà la sicurezza personale e dei beni contro i saccheggiatori, farà le opere pubbliche di risanamento e di irrigazione. Farà tutto questo perché è suo interesse dare incremento alla produzione agricola, perché è suo interesse avere e conservare la solidarietà delle masse contadine, perché è suo interesse rivolgere la produzione industriale a lavoro utile di pace e di fratellanza fra città e campagna, tra Settentrione e Mezzogiorno.”

 

(ON, 13 gennaio 1921) 

“Il Congresso di Livorno è destinato a diventare uno degli avvenimenti storici più importanti della vita italiana contemporanea1. A Livorno sarà finalmente accertato se la classe operaia italiana ha la capacità di esprimere dalle sue file un partito autonomo di classe, sarà finalmente accertato se le esperienze di quattro anni di guerra imperialista e di due anni di agonia delle forze produttive mondiali hanno valso a rendere consapevole la classe operaia italiana della sua missione storica.

La classe operaia è classe nazionale e internazionale. Essa deve porsi a capo del popolo lavoratore che lotta per emanciparsi dal giogo del capitalismo industriale e finanziario nazionalmente e internazionalmente. Il compito nazionale della classe operaia è fissato dal processo di sviluppo del capitalismo italiano e dello Stato borghese che ne è l'espressione ufficiale. Il capitalismo italiano ha conquistato il potere seguendo questa linea di sviluppo: ha soggiogato le campagne alle città industriali e ha soggiogato l'Italia centrale e meridionale al Settentrione. La questione dei rapporti tra città e campagna si presenta nello Stato borghese italiano non solo come questione dei rapporti tra le grandi città industriali e le campagne immediatamente vincolate ad esse nella stessa regione, ma come questione dei rapporti tra una parte del territorio nazionale e un'altra parte assolutamente distinta e caratterizzata da note sue particolari. Il capitalismo esercita così il suo sfruttamento e il suo predominio: nella fabbrica direttamente sulla classe operaia; nello Stato sui più larghi strati del popolo lavoratore italiano formato di contadini poveri e semiproletari. È certo che solo la classe operaia, strappando dalle mani dei capitalisti e dei banchieri il potere politico ed economico, è in grado di risolvere il problema centrale della vita nazionale italiana, la questione meridionale; è certo che solo la classe operaia può condurre a termine il laborioso sforzo di unificazione iniziatosi col Risorgimento. La borghesia ha unificato territorialmente il popolo italiano; la classe operaia ha il compito di portare a termine l'opera della borghesia, ha il compito di unificare economicamente e spiritualmente il popolo italiano. Ciò può avvenire solo spezzando la macchina attuale dello Stato borghese, che è costruita su una sovrapposizione gerarchica del capitalismo industriale e finanziario sulle altre forze produttive della nazione; questo rivolgimento non può avvenire che per lo sforzo rivoluzionario della classe operaia direttamente soggiogata al capitalismo, non può avvenire che a Milano, a Torino, a Bologna, nelle grandi città da cui partono i milioni di fili che costituiscono il sistema di dominio del capitalismo industriale e bancario su tutte le forze produttive del paese. In Italia, per la configurazione particolare della sua struttura economica e politica, non solo è vero che la classe operaia, emancipandosi, emanciperà tutte le altre classi oppresse e sfruttate, ma è anche vero che queste altre classi non riusciranno mai a emanciparsi se non alleandosi strettamente alla classe operaia e mantenendo permanente questa alleanza, anche attraverso le più dure sofferenze e le più crudeli prove.”

 

(ON, 13 gennaio 1921)

“La rivoluzione operaia italiana e la partecipazione del popolo lavoratore italiano alla vita del mondo non può verificarsi altro che nei quadri della rivoluzione mondiale. Esiste già un germe di governo mondiale operaio: è il Comitato esecutivo dell'Internazionale comunista uscito dal II Congresso2. L'avanguardia della classe operaia italiana, la frazione comunista del Partito socialista, affermerà a Livorno necessaria e imprescindibile la disciplina e la fedeltà al primo governo mondiale della classe operaia: anzi di questo punto farà il punto centrale della discussione al congresso. La classe operaia italiana accetta il massimo di disciplina, perché vuole che tutte le altre classi operaie nazionali accettino e osservino il massimo di disciplina. La classe operaia italiana sa di non potersi emancipare e di non poter emancipare tutte le altre classi oppresse e sfruttate dal capitalismo nazionale, se non esiste un sistema di forze rivoluzionarie mondiali cospiranti allo stesso fine. La classe operaia italiana è disposta ad aiutare le altre classi operaie nei loro sforzi di liberazione, ma vuole avere anche una certa garanzia che le altre classi l'aiuteranno nei suoi sforzi. Questa garanzia può essere data solo dalla esistenza di un potere internazionale fortemente centralizzato, che goda la fiducia piena e sincera di tutti gli associati, che sia in grado di mettere in movimento i suoi effettivi con la stessa rapidità e con la stessa precisione con cui riesce, per suo conto e nell'interesse della borghesia, il potere mondiale del capitalismo.”

 

(ON, 12 aprile 1921)

“Il Partito comunista è il partito politico, storicamente determinato, della classe operaia rivoluzionaria.

La classe operaia è nata e s'è organizzata sul terreno della democrazia borghese, nei quadri del regime costituzionale e parlamentare. Legata alle sorti della grande industria moderna, con le sue grandi officine e le sue città immense, formicolanti di moltitudini diverse e caotiche, la classe operaia solo lentamente e attraverso le più crudeli esperienze e le più amare delusioni ha preso coscienza della propria unità e dei propri destini di classe. Ecco perché, nelle varie fasi del suo sviluppo, la classe operaia ha appoggiato i partiti politici più diversi… Con la creazione del Partito comunista, la classe operaia rompe tutte le tradizioni e afferma la sua maturità politica. La classe operaia non vuole più collaborare con le altre classi per lo sviluppo o la trasformazione dello Stato parlamentare burocratico: essa vuole lavorare positivamente per il proprio sviluppo autonomo di classe; essa pone la sua candidatura a classe dirigente e afferma di poter esercitare questa funzione storica solo in un ambiente istituzionale diverso dall'attuale, in un nuovo sistema statale e non già nei quadri dello Stato parlamentare burocratico.”

 

(11 giugno 1921)

“I socialisti non si sono mai posti seriamente la questione della possibilità di un colpo di Stato e dei mezzi da predisporre per difendersi e per passare all'offensiva. I socialisti, abituati a rimasticare stupidamente alcune formulette pseudomarxiste, negano la rivoluzione «volontarista», «miracolista», ecc. ecc. Ma se l'insurrezione del proletariato venisse imposta dalla volontà dei reazionari, che non possono avere scrupoli «marxisti», come dovrebbe comportarsi il Partito socialista? Lascerebbe, senza resistenza, la vittoria alla reazione? E se la resistenza fosse vittoriosa, se i proletari insorti e armati sconfiggessero la reazione, che parola d'ordine darebbe il Partito socialista: di consegnare le armi o di continuare nella lotta fino in fondo?”

 

(SO, gennaio 1930)

“Nessuna azione di massa è possibile se la massa stessa non è convinta dei fini che vuole raggiungere e dei metodi da applicare. Il proletariato, per essere capace di governare come classe, deve spogliarsi di ogni residuo corporativo, di ogni pregiudizio o incrostazione sindacalista. Cosa significa ciò? Che non solo devono essere superate le distinzioni che esistono tra professione e professione, ma che occorre, per conquistarsi la fiducia e il consenso dei contadini e di alcune categorie semiproletarie della città, superare alcuni pregiudizi e vincere certi egoismi che possono sussistere e sussistono nella classe operaia come tale anche quando nel suo seno sono spariti i particolarismi di professione. Il metallurgico, il falegname, l'edile, ecc. devono non solo pensare come proletari e non più come metallurgico, falegname, edile, ecc., ma devono fare ancora un passo avanti: devono pensare come operai membri di una classe che tende a dirigere i contadini e gli intellettuali, di una classe che può vincere e può costruire il socialismo solo se aiutata e seguita dalla grande maggioranza di questi strati sociali. Se non si ottiene ciò, il proletariato non diventa classe dirigente, e questi strati, che in Italia rappresentano la maggioranza della popolazione, rimanendo sotto la direzione borghese, danno allo Stato la possibilità di resistere all'impeto proletario e di fiaccarlo.”