Classi

(CF, cit.)

“Le classi hanno la convinzione, non retorica, non supina, ma formatasi attraverso decenni di esperienze di retta amministrazione, di osservata giustizia distributiva, che i loro diritti alla vita sono tutelati e che la loro attività deve consistere nel cercare di diventar maggioranza, per i socialisti, e di conservarsi maggioranza e dimostrare continuamente la loro necessità storica, per i conservatori.”

 

Q1 §44

Non esiste una classe indipendente di intellettuali, ma ogni classe ha i suoi intellettuali; però gli intellettuali della classe storicamente progressiva esercitano un tale potere di attrazione, che finiscono, in ultima analisi, col subordinarsi gli intellettuali delle altre classi e col creare l'ambiente di una solidarietà di tutti gli intellettuali con legami di carattere psicologico (vanità ecc.) e spesso di casta (tecnico-giuridici, corporativi). 

Questo fenomeno si verifica "spontaneamente" nei periodi in cui quella determinata classe è realmente progressiva, cioè fa avanzare l'intera società, soddisfacendo alle sue esigenze esistenziali non solo, ma ampliando continuamente i suoi quadri per una continua presa di possesso di nuove sfere di attività industriale-produttiva. Quando la classe dominante ha esaurito la sua funzione, il blocco ideologico tende a sgretolarsi e allora alla "spontaneità" succede la "costrizione" in forme sempre meno larvate e indirette, fino alle misure vere e proprie di polizia e ai colpi di Stato.

 

Q1 §44

Il collegamento delle diverse classi rurali che si realizza in un blocco attraverso i diversi ceti intellettuali può essere dissolto per addivenire a una nuova formazione (passaggio dal borbonesimo al regime liberale nazionale nell'Italia meridionale) solo se si fa forza in due direzioni: sui contadini di base accettandone le rivendicazioni e facendo di esse parte integrante del nuovo programma di governo e sugli intellettuali insistendo sui motivi che più li possono interessare. Il rapporto tra queste due azioni è dialettico: se i contadini si muovono, gli intellettuali incominciano a oscillare e reciprocamente se un gruppo di intellettuali si pone sulla nuova base, essi finiscono col trasportare con sé frazioni di massa sempre più importanti. 

Si può dire, data la dispersione e l'isolamento della popolazione rurale e la difficoltà quindi di concentrarli in forti organizzazioni, che conviene iniziare il lavoro politico dagli intellettuali, ma in generale è il rapporto dialettico tra le due azioni che occorre tener presente. Si può dire anche che partiti contadini nel senso proprio della parola è quasi impossibile crearne: il partito nei contadini si realizza in generale come forte corrente di opinioni, non in forme schematiche; ma l'esistenza anche di uno scheletro di partito è di immensa utilità, sia per una certa selezione di uomini, sia per controllare gli intellettuali e impedire che gli "interessi di casta" li trasportino impercettibilmente in altro terreno.

 

Q3 §14

La storia delle classi subalterne è necessariamente disgregata ed episodica: c’è nell’attività di queste classi una tendenza all’unificazione sia pure su piani provvisori, ma essa è la parte meno appariscente e che si dimostra solo a vittoria ottenuta. Le classi subalterne subiscono l’iniziativa della classe dominante, anche quando si ribellano; sono in istato di difesa allarmata. Ogni traccia di iniziativa autonoma è perciò di inestimabile valore.

 

Q3 §48

Dell’espressione "spontaneità" si possono dare diverse definizioni, perché il fenomeno cui essa si riferisce è multilaterale. Intanto occorre rilevare che non esiste nella storia la "pura" spontaneità: essa coinciderebbe con la "pura" meccanicità. Nel movimento "più spontaneo" gli elementi di "direzione consapevole" sono semplicemente incontrollabili, non hanno lasciato documento accertabile. Si può dire che l’elemento della spontaneità è perciò caratteristico della "storia delle classi subalterne" e anzi degli elementi più marginali e periferici di queste classi, che non hanno raggiunto la coscienza della classe "per sé" e che perciò non sospettano neanche che la loro storia possa avere una qualsiasi importanza e che abbia un qualsiasi valore lasciarne tracce documentarie. Esiste dunque una "molteplicità" di elementi di "direzione consapevole" in questi movimenti, ma nessuno di essi è predominante, o sorpassa il livello della "scienza popolare" di un determinato strato sociale, del "senso comune" ossia della concezione del mondo [tradizionale] di quel determinato strato. […]

 [L’]unità della "spontaneità" e della "direzione consapevole", ossia della "disciplina" è appunto la azione politica reale delle classi subalterne, in quanto politica di massa e non semplice avventura di gruppi che si richiamano alla massa. Si presenta una quistione teorica fondamentale, a questo proposito: la teoria moderna può essere in opposizione con i sentimenti "spontanei" delle masse? ("spontanei" nel senso che non dovuti a un’attività educatrice sistematica da parte di un gruppo dirigente già consapevole, ma formatosi attraverso l’esperienza quotidiana illuminata dal "senso comune" cioè dalla concezione tradizionale popolare del mondo, quello che molto pedestremente si chiama "istinto" e non è anch’esso che un’acquisizione storica primitiva ed elementare). Non può essere in opposizione: tra di essi c’è differenza "quantitativa", di grado, non di qualità: deve essere possibile una "riduzione", per così dire, reciproca, un passaggio dagli uni all’altra e viceversa. 

[…]Trascurare e peggio disprezzare i movimenti così detti "spontanei", cioè rinunziare a dar loro una direzione consapevole, ad elevarli ad un piano superiore inserendoli nella politica, può avere spesso conseguenze molto serie e gravi. Avviene quasi sempre che a un movimento "spontaneo" delle classi subalterne si accompagna un movimento reazionario della destra della classe dominante, per motivi concomitanti: una crisi economica, per esempio, determina malcontento nelle classi subalterne e movimenti spontanei di massa da una parte, e dall’altra determina complotti dei gruppi reazionari che approfittano dell’indebolimento obbiettivo del governo per tentare dei colpi di Stato. Tra le cause efficienti di questi colpi di Stato è da porre la rinunzia dei gruppi responsabili a dare una direzione consapevole ai moti spontanei e a farli diventare quindi un fattore politico positivo. 

 

Q3 §90

Un canone di ricerca storica si potrebbe costruire studiando la storia della borghesia in questo modo (queste osservazioni si collegano alle note sul Risorgimento): la borghesia ha preso il potere lottando contro determinate forze sociali aiutata da determinate altre forze; per unificarsi nello Stato doveva eliminare le une e avere il consenso attivo o passivo delle altre. Lo studio del suo sviluppo di classe subalterna deve dunque ricercare le fasi attraverso cui ha conquistato un’autonomia in confronto dei nemici futuri da abbattere e ha conquistato l’adesione di quelle forze che l’hanno aiutata attivamente o passivamente in quanto senza questa adesione non avrebbe potuto unificarsi nello stato. Il grado di coscienza cui era arrivata la borghesia nelle varie fasi si misura appunto con questi due metri e non solo con quello del suo distacco dalla classe che la dominava; di solito appunto si ricorre solo a questo e si ha una storia unilaterale o talvolta non si capisce nulla, come nel caso della storia italiana dai Comuni in poi: la borghesia italiana non seppe unificare il popolo, ecco una causa delle sue sconfitte e delle interruzioni del suo sviluppo: anche nel Risorgimento questo "egoismo" ristretto impedì una rivoluzione rapida e vigorosa come quella francese. Ecco una delle quistioni più importanti e delle cause di difficoltà nel fare la storia delle classi subalterne.

 

Q22 §2

La media e la piccola proprietà terriera non è in mano a contadini coltivatori, ma a borghesi della cittaduzza o del borgo, e che questa terra viene data a mezzadria primitiva (cioè in affitto con corrisponsione in natura e servizi) o in enfiteusi; esiste così un volume enorme (in rapporto al reddito lordo) di piccola e media borghesia di «pensionati» e «redditieri», che ha creato in certa letteratura economica degna di Candide la figura mostruosa del così detto «produttore di risparmio», cioè di uno strato di popolazione passiva economicamente che dal lavoro primitivo di un numero determinato di contadini trae non solo il proprio sostentamento, ma ancora riesce a risparmiare: modi accumulazione di capitale dei più mostruosi e malsani, perché fondato sull'iniquo sfruttamento usurarlo dei contadini tenuti al margine della denutrizione e perché costa enormemente; poiché al poco capitale risparmiato corrisponde una spesa inaudita quale è quella necessaria per sostenere spesso un livello di vita elevato di tanta massa di parassiti assoluti.

 

Q25 §2

La storia dei gruppi sociali subalterni è necessariamente disgregata ed episodica. È indubbio che nell’attività storica di questi gruppi c’è la tendenza all’unificazione sia pure su piani provvisori, ma questa tendenza è continuamente spezzata dall’iniziativa dei gruppi dominanti, e pertanto può essere dimostrata solo a ciclo storico compiuto, se esso si conchiude con un successo. I gruppi subalterni subiscono sempre l’iniziativa dei gruppi dominanti, anche quando si ribellano e insorgono: solo la vittoria "permanente" spezza, e non immediatamente, la subordinazione. In realtà, anche quando paiono trionfanti, i gruppi subalterni sono solo in istato di difesa allarmata.

 

Q28 §17

Che l’operaio italiano (come media) dia una produzione relativamente scarsa può essere vero: ma ciò dipende da ciò che in Italia l’industrialismo, abusando della massa crescente di disoccupati (che l’emigrazione solo in parte riusciva ad assorbire) è stato sempre un industrialismo di rapina, che ha speculato sui bassi salari e ha trascurato lo sviluppo tecnico; la proverbiale "sobrietà" degli italiani è solo una metafora per significare che non esiste un tenore di vita adeguato al consumo di energia domandato dal lavoro di fabbrica (quindi anche bassi rendimenti).