Storia


GP, 29 gennaio 1916

“Se è vero che la storia universale è una catena degli sforzi che l'uomo ha fatto per liberarsi e dai privilegi e dai pregiudizi e dalle idolatrie, non si capisce perché il proletariato, che un altro anello vuol aggiungere a quella catena, non debba sapere come e perché e da chi sia stato preceduto, e quale giovamento possa trarre da questo sapere.”

CF, 11 febbraio 1917

“I fatti concreti dipendono da tante cause, che finiscono per non aver più causa, e per essere imprevedibili. E l'uomo ha bisogno, per operare, di poter almeno in parte prevedere. Non si concepisce volontà che non sia concreta, che cioè non abbia uno scopo. Non si concepisce volontà collettiva che non abbia uno scopo universale concreto. Ma questo non può essere un fatto singolo, o una serie di fatti singoli. Può essere solo un idea, o un principio morale. Il difetto organico delle utopie è tutto qui. Credere che la previsione possa essere previsione di fatti, mentre essa può solo esserlo di principi, o di massime giuridiche. Le massime giuridiche (il diritto, il giure è la morale attuata) sono creazione degli uomini come volontà. Se volete dare a queste volontà una certa direzione, ponete loro come scopo ciò che solo può esserlo: altrimenti, dopo un primo entusiasmo, le vedrete abbiosciarsi e dileguare.

CF, 11 febbraio 1917

Gli ordini attuali sono stati suscitati per la volontà di attuare totalmente un principio giuridico. I rivoluzionari dell'89 non prevedevano l'ordine capitalistico. Volevano attuare i diritti dell'uomo, volevano che fossero riconosciuti ai componenti la collettività determinati diritti. Questi, dopo la lacerazione iniziale del vecchio guscio, andarono affermandosi, andarono concretandosi e, divenuti forze operose sui fatti, li plasmarono, li caratterizzarono e ne sbocciò la civiltà borghese, l'unica che potesse sbocciarne, perché la borghesia era l'unica energia sociale fattiva e realmente operante nella storia. “ (CF, )
“Nella storia niente vi è di assoluto e di rigido. Le affermazioni del liberalismo sono delle idee-limiti che, riconosciute razionalmente necessarie, sono diventate idee-forze, si sono realizzate nello stato borghese, hanno servito a suscitare a questo stato un'antitesi nel proletariato, e si sono logorate. Universali per la borghesia, non lo sono abbastanza per il proletariato. Per la borghesia erano idee-limiti, per il proletariato sono idee minimi. ”

CF, 11 febbraio 1917

Nella storia niente vi è di assoluto e di rigido. Le affermazioni del liberalismo sono delle idee-limiti che, riconosciute razionalmente necessarie, sono diventate idee-forze,si sono realizzate nello stato borghese, hanno servito a suscitare a questo stato un'antitesi nel proletariato, e si sono logorate. Universali per la borghesia, non lo sono abbastanza per il proletariato. Per la borghesia erano idee-limiti, per il proletariato sono idee-minimi. E infatti il programma liberale integrale è diventato il programma minimo del partito socialista. Il programma cioè che ci serve a vivere giorno per giorno, in attesa che si giudichi giunto l'istante più utile [...] (mancano alcune parole censurate) Come idea-limite il programma liberale crea lo stato etico, uno stato cioè che idealmente sta al disopra delle competizioni di classe, del vario intrecciarsi ed urtarsi degli aggruppamenti che ne sono la realtà economica e tradizionale. E' un'aspirazione politica questo stato, più che una realtà politica; esiste solo come modello utopistico, ma è appunto questo suo essere un miraggio che lo irrobustisce e ne fa una forza di conservazione. Nella speranza che finalmente esso si realizzi nella sua compiuta perfezione, molti trovano la forza per non rinnegarlo, e non cercare quindi di sostituirlo.

CF, 11 febbraio 1917

“Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare, non è tanto dovuto all'iniziativa dei pochi che operano, quanto all'indifferenza, all'assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fatti maturano nell'ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa.

I destini di un'epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne preoccupa. Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell’ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un'eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente.”

AV, 25 luglio 1918

“La storia non è un calcolo matematico: non esiste in essa un sistema metrico decimale, una numerazione progressiva di quantità uguali che permetta le quattro operazioni, le equazioni e le estrazioni di radici: la quantità (struttura economica) vi diventa qualità poiché diventa strumento di azione in mano agli uomini, agli uomini che non valgono solo per il peso, la statura, la energia meccanica che possono sviluppare dai muscoli e dai nervi, ma valgono specialmente in quanto sono spirito, in quanto soffrono, comprendono, gioiscono, vogliono o negano.”

AV, 25 luglio 1918

“Ogni fenomeno storico è «individuo»; lo sviluppo è governato dal ritmo della libertà; la ricerca non deve essere di necessità generica, ma di particolare necessità.”

AV, 25 luglio 1918
“Se tu semini una ghianda, sei sicuro che non può nascere altro che un germoglio di quercia, che lentamente cresce, e solo dopo un certo numero d'anni darà i frutti. Ma la storia non è un querceto, e gli uomini non sono ghiande.”

AV, 25 luglio 1918

“L'utopia consiste […] nel non riuscire a concepire la storia come libero sviluppo, nel vedere il futuro come una solidità già sagomata, nel credere ai piani prestabiliti. L'utopia è il filisteismo… [I filistei] Sono quelli che predicano le missioni storiche nazionali, o credono alle vocazioni individuali, sono tutti quelli che ipotecano il futuro e credono imprigionarlo nei loro schemi prestabiliti, che non concepiscono la divina libertà, e gemono continuamente sul passato perché gli avvenimenti si sono svolti male.
Non concepiscono la storia come sviluppo libero  di energie libere, che nascono e si integrano liberamente  diverso dall'evoluzione naturale, come l'uomo e le associazioni umane sono diversi dalle molecole e dagli aggregati di molecole. Non hanno imparato che la libertà è la forza immanente della storia, che fa scoppiare ogni schema prestabilito.”

ON, 12 luglio 1919

“La storia è un continuo farsi, è quindi essenzialmente imprevedibile. Ma ciò non significa che «tutto» sia imprevedibile nel farsi della storia, che cioè la storia sia dominio dell'arbitrio e del capriccio irresponsabile. La storia è insieme libertà e necessità. Le istituzioni, nel cui sviluppo e nella cui attività la storia si incarna, sono sorte e si mantengono perché hanno un compito e una missione da realizzare. Sono sorte e si sono sviluppate determinate condizioni obbiettive di produzione dei beni materiali e di consapevolezza spirituale degli uomini. Se queste condizioni obbiettive, che per la loro natura meccanica sono commensurabili quasi matematicamente, mutano, muta anche la somma di rapporti che regolano e informano la società umana, muta il grado di consapevolezza degli uomini; la configurazione sociale si trasforma, le istituzioni tradizionali si immiseriscono, sono inadeguate al loro compito, diventano ingombranti e micidiali. Se nel farsi della storia l'intelligenza fosse incapace a cogliere un ritmo, a stabilire un processo, la vita della civiltà sarebbe impossibile: il genio politico si riconosce appunto da questa capacità di impadronirsi del maggior numero possibile di termini concreti necessari e sufficienti per fissare un processo di sviluppo e dalla capacità quindi di anticipare il futuro prossimo e remoto e sulla linea di questa intuizione impostare l'attività di uno Stato, arrischiare la fortuna di un popolo. In questo senso Carlo Marx è stato di gran lunga il più grande dei geni politici contemporanei.”

Q1 § 87

Ogni Stato ha «due» filosofie: quella che si enuncia per formule ed è una semplice arte di governo, e quella che si afferma con l’azione ed è la filosofia reale, cioè la storia. Il problema è di vedere in che misura queste due filosofie coincidono o divergono.

Q1 §138

Se è vero che la vita concreta degli Stati è fondamentalmente vita internazionale, è anche vero che la vita degli Stati italiani fino al 1870 e cioè la «storia italiana» è più «storia internazionale» che storia «nazionale».

Q 3 § 15

La storia non può essere che «certezza» o almeno ricerca di «certezza». La conversione del «certo» nel «vero» dà luogo a una costruzione filosofica della storia eterna, ma non alla costruzione della storia «effettuale»: ma la storia non può che essere «effettuale»: la sua «certezza» deve essere prima di tutto «certezza» dei documenti storici (anche se la storia non si esaurisce tutta nei documenti storici).

Q 3 § 33

Un governo, o un uomo politico, o un gruppo sociale applica una disposizione politica od economica. Se ne trae troppo facilmente delle conclusioni generali d’interpretazione della realtà presente e di previsione sullo sviluppo di questa realtà. Non si tiene abbastanza conto del fatto che la disposizione applicata, l’iniziativa promossa ecc. può essere dovuta a un errore di calcolo, e quindi non rappresentare nessuna "concreta attività storica". Nella vita storica come nella vita biologica, accanto ai nati vivi, ci sono gli aborti.

Storia e politica sono strettamente unite, sono anzi la stessa cosa, ma pure occorre distinguere nell’apprezzamento dei fatti storici e dei fatti e atti politici. Nella storia, data la sua larga prospettiva verso il passato e dato che i risultati stessi delle iniziative sono un documento della vitalità storica, si commettono meno errori che nell’apprezzamento dei fatti e degli atti politici in corso. Il grande politico perciò non può che essere "coltissimo", cioè deve "conoscere" il massimo di elementi della vita attuale; conoscerli non "librescamente", come "erudizione" ma in modo "vivente", come sostanza concreta di "intuizione" politica (tuttavia perché in lui diventino sostanza vivente di "intuizione" occorrerà apprenderli anche "librescamente").

Q3 §51

Passato e presente. Inizio del 18 brumaio di Luigi Napoleone: il detto di Hegel che nella storia ogni fatto si ripete due volte: correzione di Marx che la prima volta il fatto si verifica come tragedia, la seconda volta come farsa.

Q3 §90

Un canone di ricerca storica si potrebbe costruire studiando la storia della borghesia in questo modo (queste osservazioni si collegano a quelle  sul Risorgimento): la borghesia ha preso il potere lottando contro determinate forze sociali aiutata da determinate altre forze; per unificarsi nello Stato doveva eliminare le une e avere il consenso attivo o passivo delle altre. Lo studio del suo sviluppo di classe subalterna deve dunque ricercare le fasi attraverso cui ha conquistato un’autonomia in confronto dei nemici futuri da abbattere e ha conquistato l’adesione di quelle forze che l’hanno aiutata attivamente o passivamente in quanto senza questa adesione non avrebbe potuto unificarsi nello Stato. Il grado di coscienza cui era arrivata la borghesia nelle varie fasi si misura appunto con questi due metri e non solo con quello del suo distacco dalla classe che la dominava; di solito appunto si ricorre solo a questo e si ha una storia unilaterale o talvolta non si capisce nulla, come nel caso della storia italiana dai Comuni in poi: la borghesia italiana non seppe unificare il popolo, ecco una causa delle sue sconfitte e delle interruzioni del suo sviluppo: anche nel Risorgimento questo «egoismo» ristretto impedì una rivoluzione rapida e vigorosa come quella francese.

Q3 §135

Storia e Antistoria. Dalla recensione di Mario Missiroli (ICS, gennaio 1929) del libro di Tilgher Saggi di Etica e di Filosofia del Diritto, Torino, Bocca, 1928, in 8°, pp. XIV‑218, appare che la tesi fondamentale dell’opuscoletto Storia e Antistoria ha una grande portata nel sistema (!) filosofico del Tilgher. Scrive il Missiroli: «Si è detto, e non a torto, che l’idealismo italiano, che fa capo al Croce ed a Gentile, si risolve in un puro fenomenismo. Non v’è posto per la personalità. Contro questa tendenza reagisce vivacemente Adriano Tilgher con questo volume. Risalendo alla tradizione della filosofia classica, particolarmente a Fichte, Tilgher ribadisce con grande vigore la dottrina della libertà e del “dover essere”. Dove non c’è libertà di scelta, c’è “natura”. Impossibile sottrarsi al fatalismo. La vita e la storia perdono ogni senso e nessuna risposta ottengono gli eterni interrogativi della coscienza. Senza riferirsi ad un quid che trascenda la realtà empirica, non si può parlare di moralità, di bene e di male. Vecchia tesi. L’originalità di Tilgher consiste nell’aver esteso per primo questa esigenza alla logica. Il “dover essere” è necessario alla logica non meno che alla morale. Di qui l’indissolubilità della logica e della morale che i vecchi trattatisti amavano tenere distinte. Posta la libertà come una premessa necessaria, ne consegue una teoria del libero arbitrio come assoluta possibilità di scelta fra il bene e il male. Così la pena (acutissime le pagine su il diritto penale) trova il suo fondamento non soltanto nella responsabilità (scuola classica) ma nel fatto puro e semplice che l’individuo può fare il male conoscendolo come tale. La causalità può tenere le veci della responsabilità. Il determinismo di chi delinque equivale al determinismo di chi punisce. Tutto bene. Ma questo energico richiamo al “dover essere”, all’antistoria, che crea la storia, non restaura, logicamente, il dualismo e la trascendenza? Non si può riguardare la trascendenza come un “momento” senza ricadere nell’immanentismo. Non si viene a patti con Platone».

Q3 §159

Risorgimento. La storia come «biografia» nazionale. Questa forma di storia comincia col nascere del sentimento nazionale. Si presuppone che ciò che si desidera sia sempre esistito e non abbia potuto affermarsi per l’intervento di forze estranee o per l’addormentarsi delle virtù intime. È storia oleografica: l’Italia è veramente pensata come qualcosa di astratto, come la bella donna dei quadri ecc. di cui gli italiani sono i «figli» ecc. Si fa la sua biografia contrapponendola ai figli degeneri, o deviati ecc. ecc. Si capisce che questa storia è nata per ragioni pratiche, di propaganda. Ma perché continuare in questa tradizione. Oggi essa è doppiamente antistorica: perché è in contraddizione con la realtà e perché impedisce di valutare adeguatamente lo sforzo del Risorgimento, sminuendo la figura e l’originalità dei suoi protagonisti.

Q 4 § 33

Non si fa storia‑politica senza passione, cioè senza essere sentimentalmente uniti al popolo, cioè senza sentire le passioni elementari del popolo, comprendendole, cioè spiegandole e giustificandole nella determinata situazione storica e collegandole dialetticamente alle leggi della storia, cioè a una superiore concezione del mondo, scientificamente elaborata, il «sapere».

Q 4 § 38

L’errore in cui si cade spesso nella analisi storica consiste nel non saper trovare il rapporto tra il «permanente» e «l’occasionale», cadendo così o nell’esposizione di cause remote come se fossero quelle immediate, o nell’affermazione che le cause immediate sono le sole cause efficienti. Da un lato si ha l’eccesso di «economismo», dall’altro l’eccesso di «ideologismo»; da una parte si sopravalutano le cause meccaniche, dall’altra l’elemento «volontario» e individuale. Il nesso dialettico tra i due ordini di ricerche non viene stabilito esattamente. Naturalmente se l’errore è grave nella storiografia, ancor più grave diventa nella pubblicistica, quando si tratta non di ricostruire la storia passata ma di costruire quella presente e avvenire. I propri desideri sostituiscono l’analisi imparziale e ciò avviene non come «mezzo» per stimolare, ma come autoinganno: la biscia morde il ciarlatano, ossia il demagogo è la prima vittima della sua demagogia.

Questi criteri metodologici possono acquistare tutta la loro importanza solo se applicati all’esame di studi storici concreti.

Q 4 § 38

Un’altra quistione legata al problema trattato in questa rubrica è questa: se i fatti storici fondamentali sono determinati dal malessere o dal benessere economico. Un esame della storia mondiale ed europea mi pare obblighi ad escludere ogni risposta tassativa in questo senso e a procedere per approssimazioni a una risposta piuttosto generica in un piano non economico immediato, ma piuttosto d’ordine politico e intellettuale.

Q 4 § 38

Degenerato in economismo storico, il materialismo storico perde una gran parte della sua espansività culturale tra le persone intelligenti, per quanta ne acquista tra gli intellettuali pigri, tra quelli che vogliono apparire sempre furbissimi ecc.; esso, come scrisse Engels, fa credere a molti di poter avere, a poco prezzo e con nessuna fatica, in saccoccia tutta la storia, e tutta la sapienza politica. Avendo dimenticato che la tesi di Marx – che gli uomini acquistano coscienza dei conflitti fondamentali nel terreno delle ideologie – ha un valore organico, è una tesi gnoseologica e non psicologica o morale, si è creata la forma mentis di considerare la politica e quindi tutta la storia come un marché de dupes, un gioco di illusionismi e di prestidigitazioni.

Tutta l’attività culturale è ridotta così a «svelare» trucchi, a suscitare scandali, a fare i conti in tasca agli uomini politici. Naturalmente gli errori di interpretazione sono stati talvolta grossolani e hanno così reagito negativamente sul prestigio della dottrina originaria. Perciò occorre combattere contro l’economismo non solo nella teoria della storiografia, ma anche nella teoria e nella pratica politica.

Q 4 § 41

Per il materialismo storico non si può staccare il pensare dall’essere, l’uomo dalla natura, l’attività (storia) dalla materia, il soggetto dall’oggetto: se si fa questo distacco si cade nel chiacchericcio, nell’astrazione senza senso.

Q4 §39

Una trattazione sistematica del materialismo storico non può trascurare nessuna delle parti costitutive del marxismo. Ma in che senso ciò deve essere inteso? Essa deve trattare tutta la parte generale filosofica e in più deve essere: una teoria della storia, una teoria della politica, una teoria dell’economia. Ciò come schema generale che deve concretamente assumere una forma vivente, non schematica. Si dirà, ma il materialismo storico non è specificamente una teoria della storia? È giusto, ma dalla storia appunto non possono staccarsi la politica e l’economia, anche nelle fasi specializzate di scienza ‑ arte della politica e di scienza‑economica. Cioè: dopo avere svolto il compito principale nella parte filosofica generale, che è il vero e proprio materialismo storico, in cui i concetti generali della storia, della politica e dell’economia si annodano in unità organica, è utile, in un saggio popolare, dare le nozioni generali di ogni parte costitutiva in quanto scienza indipendente e distinta. Ciò vorrebbe dire che dopo aver studiato la filosofia generale cioè il nesso organico di storia‑politica‑economica si studia: come la storia e la politica si riflettano nell’economia, come l’economia e la politica si riflettano nella storia, come la storia e l’economia si riflettano nella politica.

Q4 §64

«Storia e Antistoria». «Sono veramente pochi coloro che riflettono e sono nello stesso tempo capaci di agire. La riflessione amplia, ma infiacchisce; l’azione ravviva, ma limita». Goethe, W. Meister (VIII, 5).

Q 5 § 55

 Se è difficile trovare e mettersi d’accordo sulle cause di un evento determinato, è certo molto difficile e quasi assurdo voler trovare le cause del perché la storia si sia sviluppata in un senso piuttosto che in un altro. In realtà non si tratta di un problema storico, ma di una necessità di carattere sentimentale e politico.

Q 6  § 125

La storia ha raggiunto un certo stadio; pare che perciò sia antistorico ogni movimento che appare in contrasto con quel certo stadio, in quanto "riproduce" uno stadio precedente; in questi casi si arriva a parlare di reazione, ecc. La quistione nasce dal non concepire la storia come storia di classi. Una classe ha raggiunto un certo stadio, ha costruito una certa forma di vita statale: la classe dominata, che insorge, in quanto spezza questa realtà acquisita, è perciò reazionaria? […] Lo Stato unitario è stato un progresso storico, necessario, ma non perciò si può dire che ogni movimento tendente a spezzare gli Stati unitari sia antistorico e reazionario; se la classe dominata non può raggiungere la sua storicità altro che spezzando questi involucri, significa che si tratta di "unità" amministrative militari-fiscali, non di "unità" moderne; può darsi che la creazione di tale unità moderna domandi che sia spezzata l’unità "formale" precedente, ecc.

Q6 § 139

Conflitto tra Stato e Chiesa come categoria eterna storica. Cfr a questo proposito il capitolo corrispondente di Croce nel suo libro sulla politica. Si potrebbe aggiungere che, in un certo senso, il conflitto tra «Stato e Chiesa» simbolizza il conflitto tra ogni sistema di idee cristallizzate, che rappresentano una fase passata della storia, e le necessità pratiche attuali. Lotta tra conservazione e rivoluzione, ecc., tra il pensato e il nuovo pensiero, tra il vecchio che non vuol morire e il nuovo che vuol vivere, ecc.

Q7 § 6

Il «Saggio popolare» e la sociologia. La riduzione del materialismo storico a «sociologia» marxista è un incentivo alle facili improvvisazioni giornalistiche dei «genialoidi». L’«esperienza» del materialismo storico è la storia stessa, lo studio dei fatti particolari, la «filologia»...

La «filologia» è l’espressione metodologica dell’importanza dei fatti particolari intesi come «individualità» definite e precisate. A questo metodo si contrappone quello dei «grandi numeri» o della «statistica», preso in prestito dalle scienze naturali o almeno da alcune di esse. Ma non si è osservato abbastanza che la legge dei «grandi numeri» può essere applicata alla storia e alla politica solo fino a quando le grandi masse della popolazione rimangono passive – per rispetto alle quistioni che interessano lo storico o il politico – o si suppone che rimangano passive. Questa estensione della legge dei grandi numeri dalle scienze naturali alle scienze storiche e politiche ha diverse conseguenze per la storia e per la politica: nella scienza storica può avere per risultato spropositi scientifici, che potranno essere corretti agevolmente dalla scoperta di nuovi documenti che precisino meglio ciò che prima era solo «ipotesi»; ma nella scienza e nell’arte politica può avere per risultato delle catastrofi, i cui danni «secchi» non potranno mai più essere risarciti. Nella scienza e nell’arte politica l’elevazione della legge dei grandi numeri a legge essenziale non è solo errore scientifico, ma errore politico in atto: è incitamento alla pigrizia mentale e alla superficialità programmatica, è affermazione aprioristica di «inconoscibilità» del reale, molto più grave che non sia nelle scienze naturali, in cui l’affermazione di «non conoscere» è un criterio di prudenza metodica e non affermazione di carattere filosofico. L’azione politica tende appunto a far uscire le grandi moltitudini passività, cioè a distruggere la «legge» dei grandi numeri; come allora questa può essere ritenuta una «legge»?

Q7 § 9

B. Croce e la storia etico‑politica. L’avvicinamento delle due espressioni etica e politica è appunto l’espressione esatta delle esigenze in cui si muove la storiografia del Croce: storia etica è l’aspetto della storia correlativo alla «società civile», all’egemonia; storia politica è l’aspetto della storia corrispondente all’iniziativa statale-governativa. Quando c’è contrasto tra egemonia e governo‑statale c’è crisi della società e il Croce giunge ad affermare che il vero «Stato», cioè la forza direttiva dell’impulso storico occorre talvolta cercarlo non là dove si crederebbe, nello Stato giuridicamente inteso, ma spesso nelle forze «private» e talvolta nei così detti «rivoluzionari» (questa proposizione del Croce è molto importante teoricamente per intendere appieno la sua concezione della politica e della storiografia).

Q 7 § 35

Tutto è politica, anche la filosofia o le filosofie (confronta  sul carattere delle ideologie) e la sola «filosofia» è la storia in atto, cioè è la vita stessa.

Q 8 § 17

 Una generazione può essere giudicata dallo stesso giudizio che essa dà della generazione precedente, un periodo storico dal suo stesso modo di considerare il periodo da cui è stato preceduto. Una generazione che deprime la generazione precedente, che non riesce a vederne le grandezze e il significato necessario, non può che essere meschina e senza fiducia in se stessa, anche se assume pose gladiatorie e smania per la grandezza. E’ il solito rapporto tra il grande uomo e il cameriere. Fare il deserto per emergere e distinguersi.
Una generazione vitale e forte, che si propone di lavorare e di affermarsi, tende invece a sopravalutare la generazione precedente perché la propria energia le dà la sicurezza che andrà anche più oltre; semplicemente vegetare è già superamento di ciò che è dipinto come morto. Si rimprovera al passato di non aver compiuto il compito del presente: come sarebbe più comodo se i genitori avessero già fatto il lavoro dei figli.
 
Nella svalutazione del passato è implicita una giustificazione della nullità del presente: chissà cosa avremmo fatto noi se i nostri genitori avessero fatto questo e quest’altro..., ma essi non l’hanno fatto e quindi noi non abbiamo fatto nulla di più. Una soffitta su un pianterreno è meno soffitta di quella sul decimo o trentesimo piano? Una generazione che sa far solo soffitte si lamenta che i predecessori non abbiano già costruito palazzi di dieci o trenta piani. Dite di esser capaci di costruire cattedrali ma non siete capaci che di costruire soffitte.

Q 8 § 27

Se è vero che il progresso è dialettica di conservazione e innovazione e l’innovazione conserva superando il passato, è anche vero che il passato è cosa complessa e che è dato scegliere in questa complessità: né la scelta può essere arbitrariamente fatta a priori da un individuo o da una corrente; se questa scelta è fissata in tal modo si tratta di "ideologia", di tendenza pratico-politica unilaterale, che non può dare fondamento a una scienza. Presentare questa scelta come "scienza" è appunto elemento ideologico, poiché ogni ideologia cerca di presentarsi come scienza, e come filosofia. 

Ciò che sarà conservato nel processo dialettico sarà determinato dal processo stesso, sarà un fatto necessario, non un arbitrio di così detti scienziati e filosofi. E intanto si osserva che la forza innovatrice, in quanto si è costituita nel passato, è essa stessa un fatto del passato, è appunto essa stessa conservazione - innovazione, contiene in sé l’intero passato, quello degno di svolgersi e perpetuarsi...

La storia non si fa con calcoli matematici e d’altronde nessuna forza storica innovatrice si realizza immediatamente al 100%, ma appunto è sempre razionale e irrazionale, storicistica e antistoricistica, è «vita» cioè con tutte le debolezze e le forze della vita, con le sue contraddizioni e le sue antitesi.

Q 8 § 84

Il politico in atto è un creatore; ma non crea dal nulla, non trae dal suo cervello le sue creazioni. Si fonda sulla realtà effettuale; ma cos’è questa realtà effettuale? È forse qualcosa di statico e immobile, o non piuttosto una realtà in movimento, un rapporto di forze in continuo mutamento di equilibrio? Applicare la volontà a creare un nuovo equilibrio delle forze, realmente esistenti e operanti, fondandosi sulla forza in movimento progressivo per farla trionfare è sempre muoversi nel terreno della realtà effettuale ma per dominarla e superarla. Il «dover essere» entra in campo, non come astratto e formale pensiero, ma come interpretazione realistica e sola storicistica della realtà, come sola storia in atto o politica.

Q8 § 112

La storia come storia della libertà e il liberalismo. L’equivoco in cui si mantiene la più recente storiografia del Croce è appunto basato su questa confusione tra la storia come storia della libertà e la storia come apologia del liberalismo. Se la storia è storia della libertà – secondo la proposizione di Hegel – la formula è valida per tutta la storia del genere umano e ogni corrente, ogni partito sono espressioni della libertà. Qual è quindi la caratteristica particolare della storia del secolo XIX? Che in questo secolo esiste una coscienza critica prima inesistente: si fa la storia, sapendo quello che si fa, si sa che la storia è storia della libertà. Ma si tratta solo di una posizione speculativa o contemplativa? Certo no: esiste una corrente di attività pratica, un partito, che riduce la filosofia hegeliana a «ideologia politica» immediata, a strumento di dominio e d’egemonia sociale e questo è il «liberalismo» o partito liberale in senso largo. È noto che l’accezione del termine «liberale» è stata molto larga ed ha abbracciato campi politici antitetici. Negli Annali d’Italia di Pietro Vigo sono «liberali» tutti i «non clericali» e il liberalismo comprende anche gli Internazionalisti e i marxisti.

Q 8 § 156

I periodi di rilassatezza e di dissolvimento si sono spesso verificati nella storia, predominando sempre la stessa concezione morale; essi sono dipendenti da cause storiche reali e non dalle concezioni morali, essi indicano anzi che una vecchia concezione si disgrega e un’altra nasce, ma quella in disgregamento tenta di mantenersi coercitivamente, costringendo la società a forme di ipocrisia alle quali appunto i periodi di rilassamento e libertinaggio reagiscono.  

Il pericolo di non vivacità morale è invece rappresentato dalla teoria fatalistica degli stessi gruppi che dividono la concezione della naturalità secondo la natura dei bruti, per cui tutto è giustificato dall’ambiente sociale; ogni responsabilità individuale così viene ad essere annegata nella responsabilità sociale. Se questo fosse vero, il mondo e la storia sarebbero immobili sempre. Infatti se l’individuo per cambiare ha bisogno che tutta la società cambi, meccanicamente, per chissà quale forza extraumana, il cambiamento non avverrebbe mai.

La storia è una lotta continua di individui o di gruppi per cambiare la società, ma perché ciò sia questi individui e gruppi dovranno sentirsi superiori alla società, educatori della società ecc. L’ambiente quindi non giustifica ma solo "spiega" il comportamento degli individui e specialmente di quelli più passivi storicamente. La spiegazione servirà a rendere talvolta indulgenti verso i singoli e darà materiale per l’educazione, ma non deve mai diventare "giustificazione" senza condurre necessariamente a una delle forme più ipocrite e rivoltanti di conservatorismo e di "retrivismo".

Q8 § 199

Unità della teoria e della pratica. Ricercare, studiare e criticare le varie forme in cui si è presentato nella storia delle idee il concetto di unità della teoria e della pratica. «Intellectus speculativus extensione fit practicus» di S. Tomaso: la teoria per semplice estensione si fa pratica, affermazione della connessione necessaria tra l’ordine delle idee e quello dei fatti, che si trova nell’aristotelismo e nella scolastica. Così l’altro aforisma sulla scienza (del Leibnitz) che sarebbe: «quo magis speculativa magis practica». La proposizione del Vico «verum ipsum factum», che il Croce svolge nel senso idealistico che il conoscere sia un fare e che si conosce ciò che si fa (cfr il libro del Croce su Vico e altri scritti polemici del Croce), da cui (nelle sue origini hegeliane e non nella derivazione crociana) certamente dipende il concetto del materialismo storico.

Q8 § 203

Storia e antistoria. Osservare che l’attuale discussione su «storia e antistoria» non è altro che la ripresentazione nei termini della cultura moderna della discussione avvenuta alla fine del secolo scorso nei termini del naturalismo e positivismo, se cioè la storia e la natura procedano per «salti» o solo per evoluzione graduale e progressiva.

Q8 §210

Storia e antistoria. Se la discussione (tra) storia e antistoria è la stessa che quella se la natura e la storia procedano anche per «salti» o solo «evolutivamente», sarà bene ricordare al Croce che anche la tradizione dell’idealismo moderno non è contro i «salti», cioè contro l’«antistoria». (Vedere nell’articolo di Plekhanov i riferimenti da Hegel in proposito). Si tratta poi della discussione tra riformisti e rivoluzionari sul concetto e il fatto dello svolgimento storico o del progresso. Tutto il materialismo storico è una risposta a tale quistione.

La quistione mal posta: si tratta in realtà della quistione tra ciò che è «arbitrario» e ciò che è «necessario», tra ciò che è «individuale» e ciò che è «sociale» o collettivo. Se bisogna assumere come «rivoluzioni» tutti quei movimenti che per darsi dignità e giustificarsi si chiamano da se stessi «rivoluzioni». C’è una inflazione di concetti e di fraseologia rivoluzionaria. Si crede che il berretto faccia la testa, che l’abito faccia il monaco.

Q 8 § 225

Teoria della rivoluzione‑restaurazione, una dialettica addomesticata, perché presuppone «meccanicamente» che l’antitesi debba essere conservata dalla tesi per non distruggere il processo dialettico, che pertanto viene «preveduto» come ripetentesi meccanicamente all’infinito. Invece nella storia reale l’antitesi tende a distruggere la tesi: il risultato è un superamento, ma senza che si possa a priori «misurare» i colpi come in un «ring» di lotta convenzionalmente regolamentata. Quanto più l’antitesi sviluppa se stessa implacabilmente, tanto più la tesi svilupperà se stessa, cioè dimostrerà tutte le sue possibilità di vita.

Q8 §227

Punti per un saggio su Croce. 8) Cosa significa storia «etico‑politica»? Storia dell’aspetto «egemonia» nello Stato e, poiché gli intellettuali hanno la funzione di rappresentare le idee che costituiscono il terreno in cui l’egemonia si esercita, storia degli intellettuali, e anzi dei grandi intellettuali, fino al massimo, a quell’intellettuale che ha espresso il nucleo centrale d’idee che in un dato periodo sono dominanti. Poiché «egemonia» significa un determinato sistema di vita morale concezione della vita ecc, ecco che la storia è storia «religiosa», secondo il principio «Stato‑Chiesa» del Croce.

Ma è esistito mai Stato senza «egemonia»? E allora perché non fare la storia del principio di autorità (imperiale) per cui i contadini croati combatterono contro i liberali milanesi e i contadini lombardo-veneti contro i liberali viennesi? E il Borbone non rappresentava anche un’egemonia sui lazzari e sui contadini meridionali? («abbiamo scritto in bronte, evviva Francische seconde»). C’è lotta tra due egemonie, sempre. E perché una trionfa? Per sue doti intrinseche di carattere «logico»? La combinazione in cui l’elemento egemonico etico‑politico si presenta nella vita statale e nazionale è il «patriottismo» e il «nazionalismo» che è la «religione popolare», cioè il nesso per cui si verifica l’unità tra dirigenti e diretti.

Q8 §240

Punti per un saggio su Croce. Storia etico‑politica o storia speculativa? Si può sostenere che la storia in atto del Croce non è neanche etico‑politica, ma storia speculativa, un ritorno, sia pure in forme letterarie rese più accorte e meno ingenue dallo sviluppo dell’attività critica, a forme già verificatesi nel passato e cadute in discredito come vuote e retoriche. La storia etico‑politica non può prescindere neanche essa dalla concezione di un «blocco storico», in cui l’organismo è individualizzato e reso concreto dalla forma etico‑politica, ma non può essere concepito senza il suo contenuto «materiale» o pratico. Bisogna dimostrare che contenuto e forma sono identici, ma bisogna dimostrarlo ogni volta in atto, individualmente, altrimenti si fanno dei filosofemi e non si fa storia. Nella scienza naturale ciò equivarrebbe a ritornare ad un periodo in cui le classificazioni avvenivano per il colore della pelle o del piumaggio o del pelo, e non sull’anatomia.

La storia non è scienza naturale, e il suo fine non è di classificare; quindi il riferimento alle scienze naturali e alla necessità di una «anatomia» della società, non era che una metafora e un impulso ad approfondire le ricerche metodologiche e filosofiche.

Nella storia umana in atto, il «colore della pelle» non è un accidente, perché non si tratta di classificare o di polemizzare ma di ricostruire e si sa che in ogni individuo il colore della pelle è «blocco» con la struttura anatomica e con tutte le funzioni fisiologiche; non si può pensare un individuo «scuoiato» come il vero individuo; vero vorrebbe dir morto, elemento non più attivo e operante ma oggetto da tavolo anatomico. Ma l’estremo opposto è altrettanto erroneo e astratto e antistorico. Si vede nella Storia d’Europa nel fatto che il periodo scelto è monco, è il periodo delle rivoluzioni passive, per dirla col Cuoco, il periodo della ricerca delle forme superiori, della lotta per le forme, perché il contenuto si è già affermato con le rivoluzioni inglesi, con quelle francesi, con le guerre napoleoniche.

Q 9 § 63

L’unità della storia, ciò che gli idealisti chiamano unità dello spirito, non è un presupposto, ma un continuo farsi progressivo. Uguaglianza di realtà effettuale determina identità di pensiero e non viceversa. Se ne deduce ancora che ogni verità, pur essendo universale, e pur potendo essere espressa con una formula astratta, di tipo matematico (per la tribù dei teorici), deve la sua efficacia all’essere espressa nei linguaggi delle situazioni concrete particolari: se non è esprimibile in lingue particolari è un’astrazione bizantina e scolastica, buona per i trastulli dei rimasticatori di frasi.

Q 9 § 65

Si può forse dire che la storia è maestra della vita e che l’esperienza insegna ecc. non nel senso che si possa, dal modo come si è svolto un nesso di avvenimenti, trarre un criterio sicuro d’azione e di condotta per avvenimenti simili, ma solo nel senso che, essendo la produzione degli avvenimenti reali il risultato di un concorrere contradditorio di forze, occorre cercare di essere la forza determinante. Ciò che va inteso in molti sensi, perché si può essere la forza determinante non solo per il fatto di essere la forza quantitativamente prevalente (ciò che non è sempre possibile e fattibile) ma per il fatto di essere quella qualitativamente prevalente, e questo può aversi se si ha spirito d’iniziativa, se si coglie il «momento buono», se si mantiene uno stato continuo di tensione alla volontà, in modo da essere in grado di scattare in ogni momento scelto (senza bisogno di lunghi apprestamenti che fanno passare l’istante più favorevole) ecc. Un aspetto di tal modo di considerare le cose si ha nell’aforisma che la miglior tattica difensiva è quella offensiva.

Noi siamo sempre sulla difensiva contro il «caso», cioè il concorrere imprevedibile di forze contrastanti che non possono sempre essere identificate tutte (e una sola trascurata impedisce di prevedere la combinazione effettiva delle forze che dà sempre originalità agli avvenimenti) e possiamo «offenderlo» nel senso che interveniamo attivamente nella sua produzione, che, dal nostro punto di vista, lo rendiamo meno «caso» o «natura» e più effetto della nostra attività e volontà.

Storia feticistica. Si potrebbe chiamare così il modo di rappresentare gli avvenimenti storici nelle «interpretazioni» ideologiche della formazione italiana, per cui diventano protagonisti dei personaggi astratti e mitologici. Nella Lotta politica di Oriani si ha il più popolare di questi schemi mitologici, quello che ha prodotto e partorito una più lunga serie di figli degeneri. Vi troviamo la Federazione l’Unità, la Rivoluzione, l’Italia ecc. ecc.

Il canone di ricerca che gli avvenimenti successivi gettano luce su quelli precedenti, che cioè tutto il processo storico è un «documento» storico di se stesso, viene meccanizzato ed esteriorizzato e ridotto, in fondo, a una legge deterministica di «rettilineità» e di «unilinearità». Il problema di ricercare le origini storiche di un fatto concreto e circostanziato, la formazione dello Stato moderno italiano nel secolo XIX, viene trasformato in quello di vedere questo «Stato», come unità o come nazione o genericamente come Italia, in tutta la storia precedente, come il pollo nell’uovo fecondato.

Q 10 § 1

Se è necessario, nel perenne fluire degli avvenimenti, fissare dei concetti, senza i quali la realtà non potrebbe essere compresa, occorre anche, ed è anzi imprescindibile, fissare e ricordare che realtà in movimento e concetto della realtà, se logicamente possono essere distinti, storicamente devono essere concepiti come unità inseparabile. Altrimenti avviene ciò che avviene al Croce, che la storia diventa una storia formale, una storia di concetti, e in ultima analisi una storia degli intellettuali, anzi una storia autobiografica del pensiero del Croce, una storia di mosche cocchiere. Il Croce sta cadendo in una nuova e strana forma di sociologismo «idealistico», non meno buffo e inconcludente del sociologismo positivistico.

Q10 § 2

Identità di storia e filosofia. L’identità di storia e filosofia è immanente nel materialismo storico (ma, in un certo senso, come previsione storica di una fase avvenire). Ha preso il Croce l’abbrivo dalla filosofia della praxis di Antonio Labriola? In ogni modo questa identità è diventata, nella concezione del Croce, ben altra cosa da quella che è immanente nel materialismo storico: esempio gli ultimi scritti di storia etico‑politica del Croce stesso. La proposizione che il proletariato tedesco è l’erede della filosofia classica tedesca contiene appunto l’identità tra storia e filosofia; così la proposizione che i filosofi hanno finora solo spiegato il mondo e che ormai si tratta di trasformarlo.

Questa proposizione del Croce della identità di storia e di filosofia è la più ricca di conseguenze critiche: 1) essa è mutila se non giunge anche alla identità di storia e di politica (e dovrà intendersi politica quella che si realizza e non solo i tentativi diversi e ripetuti di realizzazione alcuni dei quali falliscono presi in sé) e, 2) quindi anche alla identità di politica e di filosofia. Ma se è necessario ammettere questa identità, come è più possibile distinguere le ideologie (uguali, secondo Croce, a strumenti di azione politica) dalla filosofia? Cioè la distinzione sarà possibile, ma solo per gradi (quantitativa) e non qualitativamente. Le ideologie, anzi, saranno la «vera» filosofia, perché esse risulteranno essere quelle «volgarizzazioni» filosofiche che portano le masse all’azione concreta, alla trasformazione della realtà. Esse, cioè, saranno l’aspetto di massa di ogni concezione filosofica, che nel «filosofo» acquista caratteri di universalità astratta, fuori del tempo e dello spazio, caratteri peculiari di origine letteraria e antistorica.

Q 10 § 17

La filosofia di un’epoca non è la filosofia di uno o altro filosofo, di uno o altro gruppo di intellettuali, di una o altra grande partizione delle masse popolari: è una combinazione di tutti questi elementi che culmina in una determinata direzione, in cui il suo culminare diventa norma d’azione collettiva, cioè diventa «storia» concreta e completa (integrale). La filosofia di un’epoca storica non è dunque altro che la «storia» di quella stessa epoca, non è altro che la massa di variazioni che il gruppo dirigente è riuscito a determinare nella realtà precedente: storia e filosofia sono inscindibili in questo senso, formano «blocco». Possono però essere «distinti» gli elementi filosofici propriamente detti, e in tutti i loro diversi gradi: come filosofia dei filosofi, come concezione dei gruppi dirigenti (cultura filosofica) e come religioni delle grandi masse, e vedere come in ognuno di questi gradi si abbia a che fare con forme diverse di «combinazione» ideologica.

Q 10 § 28

L’attuale discussione tra «storia e antistoria» non è altro che la ripetizione nei termini della cultura filosofica moderna della discussione, avvenuta alla fine del secolo scorso, nei termini del naturalismo e positivismo, se la natura e la storia procedano per «salti» o solo per evoluzione graduale e progressiva. La stessa discussione si ritrova svolta anche dalle generazioni precedenti, sia nel campo delle scienze naturali (dottrine del Cuvier) sia nel campo filosofico (e si trova la discussione nello Hegel) Si dovrebbe fare la storia di questo problema in tutte le sue manifestazioni concrete e significative e si troverebbe che esso è sempre stato attuale, perché in ogni tempo ci sono stati conservatori e giacobini, progressisti e retrivi.

Q 10 § 31

Se la filosofia è storia della filosofia, se la filosofia è «storia», se la filosofia si sviluppa perché si sviluppa la storia generale del mondo (e cioè i rapporti sociali in cui gli uomini vivono) e non già perché a un grande filosofo succede un più grande filosofo e così via, è chiaro che lavorando praticamente a fare storia, si fa anche filosofia «implicita», che sarà «esplicita» in quanto dei filosofi la elaboreranno coerentemente, si suscitano dei problemi di conoscenza che oltre alla forma «pratica» di soluzione troveranno, prima o poi, la forma teorica per opera degli specialisti, dopo aver immediatamente trovato la forma ingenua del senso comune popolare cioè degli agenti pratici delle trasformazioni storiche.

Q 10 § 59 II

Ogni gruppo sociale ha una «tradizione», un «passato» e pone questo come il solo e totale passato. Quel gruppo che comprendendo e giustificando tutti questi «passati», saprà identificare la linea di sviluppo reale, perciò contraddittoria, ma nella contraddizione passibile di superamento, commetterà «meno errori», identificherà più elementi «positivi» su cui far leva per creare nuova storia.

Q 10b § 6

Nella storia reale l’antitesi tende a distruggere la tesi, la sintesi sarà un superamento, ma senza che si possa a priori stabilire ciò che della tesi sarà «conservato» nella sintesi, senza che si possa a priori «misurare» i colpi come in un «ring» convenzionalmente regolato. Che questo poi avvenga di fatto è quistione di «politica» immediata, perché nella storia reale il processo dialettico si sminuzza in momenti parziali innumerevoli; l’errore è di elevare a momento metodico ciò che è pura immediatezza, elevando appunto l’ideologia a filosofia

Q 10b § 13

Se fosse vero, in modo così generico che la storia dell’Europa del secolo XIX è stata storia della libertà, tutta la storia precedente sarebbe stata altrettanto genericamente storia dell’autorità; tutti i secoli precedenti sarebbero stati di uno stesso color bigio e indistinto, senza svolgimento, senza lotta. Inoltre: un principio egemonico (etico‑politico) trionfa dopo aver vinto un altro principio (e averlo assunto come suo momento, direbbe appunto il Croce). Ma perché lo vincerà? Per sue doti intrinseche di carattere «logico» e razionale astratto? Non ricercare le ragioni di questa vittoria significa fare storia esteriormente descrittiva, senza rilievo di nessi necessari e causali. Anche il Borbone rappresentava un principio etico‑politico, impersonava una «religione» che aveva i suoi fedeli nei contadini e nei lazzari.

C’è dunque sempre stata lotta tra due principii egemonici, tra due «religioni», e occorrerà non solo descrivere l’espansione trionfale di una di esse, ma giustificarla storicamente.

Q 11 § 12

Non si può separare la filosofia dalla storia della filosofia e la cultura dalla storia della cultura. Nel senso più immediato e aderente, non si può essere filosofi, cioè avere una concezione del mondo criticamente coerente, senza la consapevolezza della sua storicità, della fase di sviluppo da essa rappresentata e del fatto che essa è in contraddizione con altre concezioni o con elementi di altre concezioni. La propria concezione del mondo risponde a determinati problemi posti dalla realtà, che sono ben determinati e "originali" nella loro attualità. Come è possibile pensare il presente e un ben determinato presente con un pensiero elaborato per problemi del passato spesso ben remoto e sorpassato? Se ciò avviene, significa che si è "anacronistici" nel proprio tempo, che si è dei fossili e non esseri modernamente viventi. O per lo meno che si è "compositi" bizzarramente. E infatti avviene che gruppi sociali che per certi aspetti esprimono la più sviluppata modernità, per altri sono in arretrato con la loro posizione sociale e pertanto sono incapaci di completa autonomia storica.

Q 11 § 13

Quando nella storia si elabora un gruppo sociale omogeneo, si elabora anche, contro il senso comune, una filosofia omogenea, cioè coerente e sistematica.

Q 11 § 26

Certo la filosofia della praxis si realizza nello studio concreto della storia passata e nell’attività attuale di creazione di nuova storia. Ma si può fare la teoria della storia e della politica, poiché se i fatti sono sempre individuati e mutevoli nel flusso del movimento storico, i concetti possono essere teorizzati; altrimenti non si potrebbe neanche sapere cosa è il movimento o la dialettica e si cadrebbe in una nuova forma di nominalismo.

Q 11 § 27

La filosofia della praxis è lo «storicismo» assoluto, la mondanizzazione e terrestrità assoluta del pensiero, un umanesimo assoluto della storia.

Q 11 § 28

La filosofia della praxis continua la filosofia dell’immanenza, ma la depura di tutto il suo apparato metafisico e la conduce sul terreno concreto della storia.

Q14 §63

Argomenti di cultura. Come studiare la storia? Ho letto l’osservazione dello storico inglese Seeley il quale faceva notare che, a suo tempo, la storia dell’indipendenza americana attirò meno attenzione della battaglia di Trafalgar, degli amori di Nelson, degli episodi della vita di Napoleone, ecc. Eppure da quei fatti dovevano uscire conseguenze di grande portata per la storia mondiale: l’esistenza degli Stati Uniti come potenza mondiale non è certo piccola cosa nello svolgersi degli avvenimenti degli ultimi anni. Come fare dunque nello studiare la storia? Ci si dovrebbe fermare sui fatti che sono fecondi di conseguenze? Ma nel momento in cui tali fatti nascono come si fa a sapere della loro fecondità avvenire? La quistione è realmente irrisolvibile. Nella affermazione del Seeley si trova implicita la rivendicazione di una storia obbiettiva, in cui l’obbiettività è concepita come nesso di causa ed effetto. Ma quanti fatti non solo sfuggono, ma sono trascurati dagli storici e dall’interesse dei lettori, che obbiettivamente sono importanti?

Q 15 § 13

E' da riconoscere che essendo molto diffusa una concezione deterministica e meccanica della storia (concezione che è del senso comune ed è legata alla passività delle grandi masse popolari) ogni singolo, vedendo che, nonostante il suo non intervento, qualcosa tuttavia avviene, è portato a pensare che appunto al disopra dei singoli esiste una entità fantasmagorica, l’astrazione dell’organismo collettivo, una specie di divinità autonoma, che non pensa con nessuna testa concreta, ma tuttavia pensa, che non si muove con determinate gambe di uomini, ma tuttavia si muove ecc.

Q 15 § 52

Le interpretazioni del passato, quando del passato stesso si ricercano le deficienze e gli errori (di certi partiti o correnti) non sono «storia» ma politica attuale in nuce.

Q 19 § 5

E se scrivere storia significa fare storia del presente, è grande libro di storia quello che nel presente aiuta le forze in isviluppo a di venire più consapevoli di se stesse e quindi più concretamente attive e fattive.

Q25 § 2

Criteri metodologici. La storia dei gruppi sociali subalterni è necessariamente disgregata ed episodica. È indubbio che nell’attività storica di questi gruppi c’è la tendenza all’unificazione sia pure su piani provvisori, ma questa tendenza è continuamente spezzata dall’iniziativa dei gruppi dominanti, e pertanto può essere dimostrata solo a ciclo storico compiuto, se esso si conchiude con un successo. I gruppi subalterni subiscono sempre l’iniziativa dei gruppi dominanti, anche quando si ribellano e insorgono: solo la vittoria «permanente» spezza, e non immediatamente, la subordinazione. In realtà, anche quando paiono trionfanti, i gruppi subalterni sono solo in istato di difesa allarmata (questa verità si può dimostrare con la storia della Rivoluzione francese fino al 1830 almeno). Ogni traccia di iniziativa autonoma da parte dei gruppi subalterni dovrebbe perciò essere di valore inestimabile per lo storico integrale; da ciò risulta che una tale storia non può essere trattata che per monografie e che ogni monografia domanda un cumulo molto grande di materiali spesso difficili da raccogliere.